Rimini, 6 settembre 2023 – E’ morto il Presidente. Lorenzo Cagnoni lo era praticamente da sempre. Signore delle Fiere, politico raffinatissimo e manager di lungo corso. L’uomo più potente di Rimini. Avrebbe potuto fare il sindaco, il senatore o guidare un partito. Lo avevano parcheggiato nelle retrovie, alla fine degli anni Ottanta. Assessore, poi vice sindaco, la presidenza dell’aeroporto. Inizia da qui la scalata che lo porterà nel giro di qualche decennio ad occupare una poltrona intoccabile. Cagnoni diventa una sorta di figura leggendaria. L’ufficio ‘mega galattico’, il cactus gigantesco alle spalle della scrivania. Simbolo e allo stesso tempo monito, icona di potenza e tenacia. Un avvertimento spinoso.
Lorenzo Cagnoni conquista la presidenza della Fiera di Rimini nel 1995. E da allora non l’ha mai lasciata. Ci hanno provato in tanti a pensionarlo. Non ce l’hanno fatta. La settimana scorsa era ancora lì, segnato dalla malattia ma chino sui progetti. L’ingresso nella società dell’aeroporto Fellini, i nuovi padiglioni, la fusione con Bologna. Convinto, come tutti i grandi uomini, di essere eterno. Nei titoli di giornale era ‘Lorenzo il Magnifico’. Ci sorrideva sopra, ma in fondo ne era compiaciuto. Su Cagnoni esistono aneddoti tramandati nelle stanze del potere. Si dice che ancora giovane consigliere comunale provasse per giorni gli interventi davanti allo specchio. Favorito dagli studi classici e dalla lucidità del ragionamento, era uno dei rarissimi intervistati a cui il cronista non doveva cambiare una virgola. Impassibile gestiva il dissenso, senza mai perdere le staffe. Eppure ne aveva dovute mandare giù parecchie. Gli attacchi ai tempi della realizzazione del Palacongressi: inchieste giudiziarie, aggressioni politiche, intimidazioni. Aveva vinto anche quella battaglia, più duro dell’acciaio incriminato. Poi c’era stato il crac Aeradria. Indagato con l’intera classe dirigente riminese per il fallimento dell’aeroporto. Accuse pesantissime, fino all’associazione a delinquere. Case e beni personali sequestrati. Un colpo mortale, che Cagnoni aveva gestito con il consueto stile, ma dolorosissimo per lui. Nove anni dopo l’assoluzione da tutte le accuse. "Un’infamia", avevano commentato i suoi legali.
La sua carriera è stata una sfilza di medaglie appuntate al petto. Dall’insediamento alla vecchia Fiera comincia a lavorare per spostare i padiglioni a nord. La politica vacilla. Insinua. Riccione si oppone. Si parla di una nuova fiera al Marano. Il progetto non decolla. Cagnoni, che la politica la conosce come le sue tasche ma soprattutto sa bene quanto possano essere distruttivi i politici, ha l’intuizione di piazzare un maxi orologio nel cantiere. Scandisce il tempo che lo separa dalla realizzazione di quella che nel corso dei decenni diventerà, grazie a lui, una delle prime realtà italiane con l’ambizione di collocarsi su scenari internazionali. Acquisisce Vicenza, poi Arezzo, stuzzica Milano e inizia il braccio con la Fiera di Bologna. Un percorso tormentato, mai concluso. Ostacolato dai poteri forti e dalla diffidenza reciproca. Ma il presidente non cede. Ribatte punto su punto. Rivendica i risultati di Ieg. Agisce come ha sempre fatto: lavora nell’ombra. Al machete preferisce il fioretto. E’ l’uomo forte del sistema Rimini. E’ inutile ogni tentativo di incrinare la sua leadership. In tanti, nei decenni, ne chiedono la testa. Ma non c’è governatore o sindaco in grado di spodestarlo dal quartier generale della Fiera. Troppo bravo, e astuto, per essere rimpiazzato dal solito politico da riciclare.
Un uomo solo al comando. Ci provano in continuazione ad arginare il SIgnore delle fiere. Amministratori delegati, vice blasonati. A un certo punto si affaccia sulla sua strada Matteo Marzotto. Sulle prime sembra amore, finisce male, come tutte le altre volte. Con garbo, e un pizzico di veleno. Chi entra nella sua orbita dura come il passaggio di una meteora. Alla Fiera c’è un unico sole. Lo capiscono i manager arruolati per gestirlo e gli amministratori che lavorano al suo avvicendamento.
Di rinnovo in rinnovo, Cagnoni li allontana con le eleganti scarpe inglesi come sassolini piazzati sul cammino. Il sindaco Sadegholvaad è l’ultimo a provarci. Cagnoni vuole costruire altri padiglioni, il sindaco un contenitore per i grandi eventi. Il presidente cede, fiaccato dalla malattia che lo insegue da anni. Lavora stremato all’accordo per rilevare quote dell’aeroporto. Sa che è una partita difficile, le ferite lasciate dall’inchiesta sono ancora aperte, ma capisce che il rilancio del turismo passa dalla pista del Fellini.
Muore il 5 settembre, ancora al timone della sua ‘astronave’. Per lui è un dono di Dio. Per Rimini il principio di una navigazione a vista.