Aeradria, Gnassi: "Nove anni alla gogna. Era una caccia: davamo fastidio"

Rimini, lo sfogo dell’ex sindaco dopo la sentenza di assoluzione: "Ho pianto". "Restano domande sulla tracotanza con la quale si è cercato di coinvolgere istituzioni e politici"

Andrea Gnassi è stato sindaco Pd di Rimini per due mandati e dieci anni, dal 2011 al 2021

Andrea Gnassi è stato sindaco Pd di Rimini per due mandati e dieci anni, dal 2011 al 2021

Rimini, 16 gennaio 2022 -  L’ombra della colpa l’ha inseguito per nove anni e l’altra sera, quando ha saputo di essere stato assolto, Andrea Gnassi ha pianto. Anche la giornata di ieri è volata via trascinata da un’altalena di emozioni. La rabbia. Il sollievo. Il dolore. Altre lacrime.

Con la sentenza sul fallimento di Aeradria, si chiude una delle pagine più cupe della recente storia riminese. Con l’intera classe dirigente della città accusata di aver affossato l’aeroporto Fellini. Nel gorgo di quell’inchiesta sono state inghiottite carriere politiche. Chi ha resistito alle turbolenze, lottando nei corridoi dei partiti e nelle aule dei tribunali, dà l’impressione del passeggero scampato a un disastro aereo.  

Gnassi, come si sente? "L’altra notte non ho dormito perché era come se fossi diviso in due. Da una parte il sollievo per la sentenza, dall’altra la ferita e il dolore per una cosa che già nove anni fa doveva essere palese. Il sindaco di Rimini ha commentato che ‘tutto è bene quel che finisce bene’, ma questo è un modo di dire. Nella realtà c’è la vita. La contentezza e la gioia dell’assoluzione non possono far dimenticare sofferenze personali, momenti duri, frustrazione per reati che sapevano bene di non aver commesso".  

Subito dopo la sentenza che ha fatto? "Ho brindato con chi mi vuole bene. Con il mio avvocato Nicola Mazzacuva. Due passi nella nostra città, di sera. Ieri mattina sono andato a salutare chi se n’è andato con le accuse ancora in piedi, mio babbo, al cimitero. Glielo dovevo, lui che qualche anno fa ha chiuso gli occhi con l’accusa di un’associazione per delinquere sulla testa di un figlio. Come un mafioso".  

Come è iniziato tutto? "Nel 2011, con la crisi economica e finanziaria che travolgeva l’Italia. E Rimini. Le banche che saltavano per aver finanziato il troppo cemento. Rimini sembrava destinata al declino. E poi l’inchiesta sull’aeroporto, che coinvolgeva tutta la città, le categorie economiche, le istituzioni degli ultimi vent’anni. Se in questi anni non avessi sentito l’affetto degli amici e della gente che si stringeva attorno al cambiamento, avrei mollato ogni cosa molto prima".  

Quando ha saputo di essere indagato? "L’ho saputo dai giornalisti molti mesi prima che mi arrivasse la comunicazione, con ufficiali che mi notificavano il sequestro dei beni di tutta la mia famiglia, con undici capi di imputazione, compreso quello infamante di associazione per delinquere. Mi è sempre appartenuta un’idea, se vogliamo ideale, della giustizia che mi ha sempre portato a credere che alla fine il bene trionferà. Non ho mai avuto dubbi sull’essere sempre stato nella legalità, ma si finisce dentro una cosa mastodontica, che non ha rispetto per le persone. Ma alla fine la giustizia e la ragione hanno prevalso. Bisogna avere fiducia e proprio per questo non bisogna aver paura delle riforme, dei cambiamenti in politica e nella giustizia. Credo che questo sistema non sia equo per la sofferenza psicologica e fisica che provoca in chi ci finisce in mezzo".  

L’alternativa quale era, insabbiare tutto? "L‘inchiesta si doveva fare, ma restano diverse domande sulla tracotanza con cui si è cercato di coinvolgere tutti i livelli istituzionali e politici. In quei primi anni di mandato, abbiamo fatto una rivoluzione che forse a qualcuno può avere dato fastidio. Resta la sensazione di quei giorni del 2013, in cui si respirava la caccia al bersaglio grosso".  

E dopo cercarono di disarcionarla. Dicevano: Gnassi non può rifare il sindaco perché verrà condannato. "Su questo preferisco sorvolare. Mi interessa invece usare questa vicenda per dimostrare la nudità dei sindaci e di chi è in prima linea a rispondere ai bisogni della gente. Ha ragione il sindaco Decaro quando dice che, quando fai o firmi un atto, ti prendi l’abuso di ufficio, e se non lo fai sei accusato di omissione d’atti di ufficio. E non basta un aumento di stipendio per gli amministratori locali, davanti a certe accuse che diventano gogne mediatiche sui social. Oggi sono contento. Passa il tempo, si guarda al futuro, ci si butta nella vita, con alcune ombre che però rimangono: le ferite. E una domanda: era necessario tutto questo?".