Giulio Zangheri, l’ultimo asso dei cieli è riminese

97 anni, abbatteva aerei nemici col suo caccia. "Resto ancora il pilota canarino"

Giulio Zangheri mentre mostra il modellino di una aereo giallo simile a quello che pilotava durante la guerra

Giulio Zangheri mentre mostra il modellino di una aereo giallo simile a quello che pilotava durante la guerra

Rimini, 20 marzo 2017 - «Il mio caccia Reggiane lo sogno ancora, mi portava in alto, e poi si vedeva l’infinito del mare». Sono le parole di un asso dei cieli: Giulio Zangheri, riminese 97enne di Marina, che è stato pilota e anche attore. «Già, perché durante la guerra ha fronteggiato le Fortezze volanti americane, ma è anche stato protagonista di un filmato bellico, «Primo volo». E nei giorni scorsi è tornato sotto i riflettori. Una troupe l’ha intervistato: quella di «Facevamo aerei», docufilm dell’associazione culturale Yorick, che racconta la storia degli aerei fabbricati a Predappio e Reggio Emilia.

Zangheri, lei potrebbe essere l’ultimo asso di cieli, lo sa?

«Nel gruppo eravamo in 36, alla fine della guerra siamo rimasti solo sei. E’ passato tanto tempo, potrebbe essere proprio così».

Come era per un ventenne pilotare un aereo?

«Uno spettacolo. Avevo il RE2001, molto maneggevole, una linea magnifica e ali d’argento. E ho combattuto».

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«Nel ’42 sono stato in Sardegna. C’erano pure gli Stuka tedeschi molto organizzati. Noi avevamo sette aerei, quando suonava la sirena si partiva in missione per colpire».

Chi era il nemico?

«Le Fortezze volanti degli americani. Ne ho centrate almeno tre. Se abbattevi il nemico, c’era un premio in denaro o una medaglia. I superiori volevano le prove, ma cosa dovevo fare, andare a pescare l’aereo in fondo al mare? Così sono rimasto sergente».

Un fatto che le è rimasto appiccicato addosso?

«Ero in volo, a un certo punto il motore inizia a ‘starnutire’. C’era benzina dappertutto, sarebbe stato pericolo atterrare per il rischio che tutto andasse a fuoco, sarei bruciato vivo. Ho deciso di ammarare: una manovra rischiosa. Sono stato abile e fortunato, se sono qui a raccontarlo».

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«A Roma dovevano fare un documentario, ‘Primo volo’. Hanno preso me che ero giovane. Ho pilotato il caccia per un mese per le riprese. Il regista si lamentava che l’aereo si vedeva poco, lo dipinsero di giallo. Tanto il filmato era in bianco e nero. Da quel giorno mi hanno chiamato il pilota canarino».

Dopo la guerra cosa ha fatto?

«La mia guerra è finita all’ospedale. Poi ho continuato a volare come civile. Lavoravo a Milano, con l’aereo dovevo disegnare parole di fumo nel cielo per la pubblicità. Scrivere alla rovescia era quasi più difficile che duellare con le Fortezze volanti, ma sicuramente meno pericoloso»