Bonus Covid: la Finanza sequestra Rolex, borse firmate e un fiume di soldi

Le Fiamme gialle hanno sigillato beni per 2,6 milioni di euro appartenenti agli indagati per la truffa dei crediti di imposta

Bonus Covid: la Finanza sequestra   Rolex, borse firmate e un fiume di soldi

Bonus Covid: la Finanza sequestra Rolex, borse firmate e un fiume di soldi

Facevano la bella vita con i soldi destinati alle aziende messe in ginocchio dalle chiusure durante l’emergenza Covid. E non si facevano mancare nulla: gioielli, Rolex, borse Louis Vuitton. Beni di lusso acquistati da alcuni dei 72 indagati coinvolti nell’operazione ‘Free Credit’ – che ha portato la Guardia di Finanza di Rimini a smascherare una maxi frode legata alla cessione di finti crediti di imposta per un valore di 440 milioni di euro – e nascosti in cassette di sicurezza sparse tra le province di Rimini, Roma, Brescia e Reggio Emilia. Queste ultime, nei giorni scorsi, sono state sequestrate dai militari del nucleo di polizia economico finanziaria, guidato dal tenente colonnello Roberto Russo con il coordinamento del sostituto procuratore Paolo Gengarelli.

Da mesi le Fiamme Gialle stanno portando avanti una caccia spietata al patrimonio milionario degli indagati, confluito in una miriade di rivoli, tra conti correnti esteri, criptovalute e persino lingotti d’oro. Il meccanismo portato alla luce dalla Finanza sfruttava alcune falle nel sistema di compravendita dei crediti di imposta (in particolare quelle legate alle cessioni multiple) connessi a sisma bonus, bonus facciate e crediti di locazione. Soldi destinati in verità alle aziende colpite dalla pandemia, e costrette a chiudere i battenti per effetto del lockdown. Con l’ultimo intervento, i finanzieri hanno messo i sigilli a beni per 2,6 milioni di euro, che vanno ad aggiungersi al 97 per cento dell’ammontare della frode, già recuperato.

Nell’elenco dei sequestri figurano somme di denaro depositate in istituti di credito di San Marino, tre appartamenti e una villa nel centro storico di Rimini, intestata alla moglie del commercialista riminese Stefano Francioni e da lei acquistata in un periodo antecedente i fatti contestati (acquisto in seguito perfezionato con patrimonio dello stesso Francioni). Il ricorso presentato dai legali di Francioni, gli avvocati Mattia Lancini e Andrea Guidi, inizialmente respinto dal tribunale del Riesame, è ora oggetto di valutazione da parte della Cassazione.

A nulla sono valsi gli stratagemmi escogitati da alcuni degli indagati per sfuggire ai controlli delle Fiamme Gialle, come il ricorso sistematico a dei prestanome (spesso familiari), vari passaggi societari o cessioni delle proprietà degli immobili ad aziende intestate a terzi soggetti compiacenti, attraverso la cortina fumogena dell’aumento di capitale sociale. Gli investigatori sono però riusciti a ricostruire i diversi cambi di mano e i movimenti sospetti di denaro. La Procura di Rimini intanto ha emesso l’avviso di conclusione indagine nei confronti di 43 dei 72 indagati con la richiesta di giudizio immediato per altre dieci persone. In quattro hanno già patteggiato, altre quattro richieste di patteggiamento sono in corso, uno degli indagati residente in Sicilia è nel frattempo deceduto, mentre partirà a fine febbraio il processo in abbreviato davanti al gup di Rimini per Francioni. Per sei indagati (Matteo Banin, Nicola Girolamo Bonfrate, Luca Fallarino, Giuseppe Felice Guttadoro, Francesco Nappi e Sabatino Schiavino) il procedimento si è invece trasferito a Milano, a seguito della decisione assunta dai giudici del Collegio di Rimini nel mese di gennaio. Diversi i reati contestati a vario titolo: da quello di associazione per delinquere alla truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche fino all’autoriciclaggio, il più grave sotto il profilo penale. Tra gli episodi di autoriciclaggio documentati dagli investigatori, il primo in ordine cronologico si sarebbe verificato a Milano, sede di una finanziaria a cui avrebbe fatto ricorso uno degli imputati per ‘ripulire’ i proventi delle truffe.

Lorenzo Muccioli