Rimini, il Carnaby festeggia i suoi 50 anni in pista

Ennio Sanese, uno dei gestori storici: "Guai a diventare fighetti"

Al centro Ennio Sanese (con i baffi) nel locale in una foto del 1988 e alcuni pierre

Al centro Ennio Sanese (con i baffi) nel locale in una foto del 1988 e alcuni pierre

Rimini, 15 aprile 2018 - Una volta era il tempio degli inglesi. Poi sono arrivati gli svedesi (anzi, soprattutto le svedesi), i tedeschi, i russi. «Negli ultimi anni lavoriamo soprattutto coi gruppi della Polonia e, in generale, dell’Europa orientale. Ma i tedeschi qui vengono sempre volentieri, così come gli inglesi, anche se sono meno...». Il segreto del Carnaby? "Restare fedeli a noi stessi – assicura Ennio Sanese, uno dei gestori storici della discoteca di Rivazzurra – Abbiamo rinnovato più volte la struttura, ma la filosofia del Carnaby è rimasta immutata: divertimento per tutti, feste anche di giorno per fidelizzare i ragazzi e guai a diventare un locale per fighetti". Sono passati 50 anni da quando, nella swinging Rimini che faceva il verso a Londra, il Carnaby aprì per la prima volta i battenti. Era l’estate del 1968. L’intuizione fu del conte Perticari, aristocratico con la passione per l’Inghilterra, che solo pochi anni prima (nel 1964) aveva aperto sul lungomare il Rose & Crown, il primo pub inglese in Italia. "Ma dopo pochi mesi – racconta Sanese – abbiamo preso noi in gestione il Carnaby, in affitto. E l’abbiamo trasformato in una vera discoteca... Non un dancing o una balera, come andava di moda allora, ma una discoteca in piena regola". Che funzionò subito... "Fu un grande successo. Io e gli altri due soci storici, Giorgi Pari e Alfredo Pandolfini, eravamo giovanissimi, ma avevamo già le idee chiare. Ogni inverno facevamo lunghi viaggi in Inghilterra per vedere come funzionavano lì i locali. L’idea di fare il pub nei piani ‘alti’ e la disco nel piano interrato, nel cave, veniva pari pari da quello che avevamo visto a Londra". Il Carnaby è sempre stato uno dei locali principalmente frequentati dagli stranieri: è ancora così? "Sì, ma sfatiamo un mito: facciamo entrare anche gli italiani... Il nostro pubblico principale restano gli stranieri. Lavoriamo molto con i gruppi organizzati: gite scolastiche, ragazzi che arrivano qui coi pacchetti dei tour operator". Come gli inglesi di ‘I love tour’, che anche quest’anno hanno fatto parlare molto di loro: uno avvistato nudo per strada, un altro caduto da un terrazzo. "Il problema, di loro e altri, è che bevono troppo prima di andare nei locali: fanno il pieno in giro nei supermarket e nei bar, e poi arrivano qui già ‘cotti’. Ma il Carnaby si è distinto sempre per essere lontano dagli eccessi: negli anni ’90, quando altri locali della Riviera inseguivano lo sballo, noi siamo rimasti fedeli al nostro modello". Ne è valsa la pena? Col successo dei locali in spiaggia e la crisi in pista molte disco hanno chiuso.... "Vero, e la nostra forza è stata propria questa. Non cambiare mai. Sono poche in Italia le disco che possono vantare una storia lunga quanto la nostra". Quant’è cambiato il pubblico? "Moltissimo. Adesso lavoriamo soprattutto con i polacchi, i tedeschi, vari gruppi dall’Europa dell’est oltre che alcune comitive italiane. I giorni di lavoro si sono ridotti, ma da giugno il Carnaby è aperto puntualmente tutte le sere e da lavoro a 40 persone". E lei scende ancora in pista? "Tutte le notti. Io faccio la chiusura, mi occupo della cassa. E’ la mia passione: la mia tesi per la laurea in Lingue l’ho fatta sul ruolo dei pub nella letteratura inglese. Io e i miei soci ci divertiamo ancora, e abbiamo i nostri figli a darci una mano: stanno seguendo le nostre orme".