Rimini, quasi cieco al volante. "Ma chi gli ha dato la patente?"

Parla una delle sorelle investite dal ragazzo assolto dal giudice

Quasi cieco al volante

Quasi cieco al volante

Rimini, 27 aprile 2019 - «Faccio fatica a credere che quel ragazzo non ci abbia viste, sicuramente deve averci ‘sentite’. Maria Paola Canali, 64 anni, di Sant’Agata Feltria, è una delle due sorelle travolte dal giovane di San Clemente che dopo l’incidente ha tirato dritto, ma assolto dal giudice perchè quasi cieco. Il ragazzo soffre di una malattia genetica, la retinite pigmentosa. Chi ne è affetto ha un campo visivo molto ridotto.

Come ha reagito sapendo dell’assoluzione?

«Non so cosa pensare. Io non sono un medico e nemmeno un giudice, immagino ci siano dei certificati medici che lo provano. Mia sorella e io non abbiamo alcuna rabbia o rancore nei suoi confronti (non si sono costituite parte civile, ndr), è un ragazzo giovane e poteva capitare a chiunque. Forse si è spaventato anche lui, e magari è scappato proprio per la paura».

Ma non è convinta che il ragazzo non vi abbia viste...

«Lui ha sempre sostenuto che non si è reso conto di averci investite. Ma sinceramente io non credo che sia possibile. E comunque anche se fosse così, avrebbe dovuto sentire il colpo. Uno si accorge se investe un gatto, figuriamoci se urta e butta a terra due persone. Senza contare che mia sorella è quasi un quintale, mentre io peso oltre 70 chili. Il colpo ci ha scaraventate entrambe a terra, abbiamo fatto una bella botta. Impossibile secondo me non sentire un colpo simile».

Lei ha anche gridato?

«Sì. Io non mi ero fatta praticamente nulla, mi sono rialzata subito e ho comincito a urlare al conducente di fermarsi, ma lui ha tirato dritto come se non fosse successo niente. Non sono riuscita a vedere la targa della macchina, ma il modello sì, era una Kia rossa, me la ricordo bene. C’erano però altri testimoni che avevano visto alcune parti della targa e grazie a loro gli agenti della Polizia municipale sono riusciti a individuare la macchina che era scappata e a scoprire chi la guidava».

Avete mai parlato con il giovane che vi ha investite?

«No, però quindici giorni dopo abbiamo sentito sua madre. Ripeto, non si può portare rancore a un ragazzo».

Sua sorella come sta?

«Mica tanto bene a essere sinceri. Si è rotta una gamba e ci sta andando ancora dietro (l’incidente è avvenuto nel gennaio 2017), continua a zoppicare e i medici non le hanno assicurato che tornerà come prima. Potrebbe non guarire completamente».

Però nessuna delle due ha presentato alcuna querela, nè vi siete costituite parte civile nel processo contro l’investitore.

«Mia sorella Isabella e io non abbiamo nessuna intenzione di infierire su quel ragazzo. Ripeto, non vogliamo fare del male a nessuno. Ci penserà l’assicurazione a risarcire i danni. Però c’è soprattutto una domanda che continuo a farmi?».

E cioè?

«Mi chiedo come sia stato possibile che a una persona con quella patologia, uno insomma che ci vede poco, abbiano potuto dare la patente. Era un bel rischio guidare la macchina nelle sue condizioni».