
Per Sauro Nicolini, l’imprenditore che per anni era stato l’amministratore a capo della Cmv, è cominciato ieri mattina un nuovo processo con la formula del rito abbreviato
Un vero e proprio impero dell’edilizia, crollato sotto il peso di oltre 250 milioni di debiti nel 2017, quando il tribunale di Rimini aveva dichiarato il fallimento della società. Poi l’inchiesta della Guardia di finanza denominata "Brick broken" (mattone rotto) che nel 2021, come un uragano, si era abbattuta sulla Cmv, la Cooperativa muratori di Verucchio. Per Sauro Nicolini, l’imprenditore che per anni era stato l’amministratore a capo di quel colosso, è cominciato ieri mattina un nuovo processo con la formula del rito abbreviato, davanti al gup Raffaele Deflorio. Per alcune delle ipotesi di reato (tra cui la bancarotta semplice) è già intervenuta la prescrizione. Restano in piedi i capi di imputazione legati alla bancarotta fraudolenta della Cmv e delle società riconducibili al gruppo. Nicolini deve rispondere delle accuse, in concorso insieme ad altre cinque persone. Gli imputati sono difesi, tra gli altri, dagli avvocati Carlo Alberto Zaina, Marco Zanotti, Consuelo Riminucci. Nel corso dell’udienza di ieri, è stato sentito il consulente di parte che – chiariscono i difensori – "ha dimostrato l’intenzione di Nicolini e degli altri indagati di salvaguardare il gruppo". Secondo gli inquirenti, gli indagati avrebbero "distratto" somme di denaro derivanti dalla vendita di immobili della Cmv per non meno di 6 milioni di euro. ’Fondi neri’ che, secondo il lavoro di ricostruzione svolto dalle Fiamme Gialle, sarebbero stati nascosti al Fisco e dirottati verso la Repubblica di San Marino. Nel 2022, l’imprenditore era già stato assolto dall’accusa di bancarotta fraudolenta, al termine di un altro processo scaturito, in questo caso, dalla denuncia banca Crédit Agricole. Nel corso dell’udienza svoltasi ieri, è stato intanto definito un primo aspetto che tocca da vicino la curatela fallimentare e i creditori della Cmv. Il gup ha infatti autorizzato lo svincolo di circa 1,8 milioni di euro confluiti nel Fondo unico giustizia del ministero di Giustizia, a seguito dei sequestri eseguiti dalla Guardia di finanza. A fronte della decisione, la curatela fallimentare – rappresentata dall’avvocato Maurizio Ghinelli – ha rinunciato alla costituzione come parte civile. Nel 2014 la società aveva tentato di salvarsi con un concordato preventivo. Tre anni dopo però il tribunale aveva dichiarato il fallimento della società: alcuni creditori avevano chiesto di annullare tutto, perché ritenevano impossibile realizzare il piano concordato. Tanti beni di proprietà del gruppo sono poi finiti all’asta, dall’ex colonia Bolognese al golf di Verucchio.