È la moglie di un mafioso, no al reddito di cittadinanza

La donna ha perso il sostegno economico dopo aver ottenuto 15 mensilità:. Ora si trova a processo, ma si difende: "Non volevo commettere una truffa"

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In caso di rinvio a giudizio, rischia di incappare in una condanna da un minimo di due ad un massimo di sei anni. La protagonista di questa storia, una donna di 40 anni trapiantata da tempo a Rimini, è accusata di aver percepito indebitamente quindici mensilità del reddito di cittadinanza (per un totale di circa 4mila euro). La sua colpa: aver omesso di dichiarare, al momento della presentazione della domanda necessaria ad ottenere il bonus, che il marito (dal quale nel frattempo ha divorziato) si trova in prigione in un regime di carcere duro. L’uomo, già coinvolto in passato in altri processi, sta infatti scontando una pena per reati di droga commessi nell’ambito di associazioni di tipo mafioso.

Circostanza che, stando alla legge, impedisce di richiedere e ottenere il reddito. Per questo motivo la donna si è ritrovata al centro di un’indagine ed è stata denunciata per la violazione commessa. Il suo legale, l’avvocato Cristian Brighi, ha chiesto per lei il rito abbreviato condizionato alla produzione documentale e all’esame dell’imputata. L’udienza davanti al gup del tribunale di Rimini è fissata il prossimo 20 aprile.

Nel 2018 l’uomo, vecchia conoscenza delle forze dell’ordine, era stata condannato al termine di un processo che lo aveva visto finire alla sbarra per vicende legate al traffico di sostanze stupefacenti in ambito di associazioni di tipo mafioso. Qualche mese prima, lui e la compagnava avevano però deciso di convolare a nozze. Nemmeno la sentenza emessa dal tribunale era servita a far cambiare loro idea. Pur sapendo che da lì a poco per l’uomo si sarebbero spalancate le porte del carcere, il matrimonio si era celebrato comunque. Lui forse le aveva promesso che sarebbe uscito nel giro di poco e lei, acceccata dall’amore, con ogni probabilità aveva deciso di fidarsi.

Così nel 2019 la donna, che abita in una casa popolare a Rimini, si ritrova con il marito in carcere e due figli da mantenere. I doppi turni al lavoro non bastano a far quadrare i conti e così decide di presentare domanda per ottenere il reddito di cittadinanza. A chi compila il modulo viene richiesto di specificare se all’interno del nucleo familiare sono presenti persone che stanno scontando delle pene detentive. La donna barra la casella corrispondente, ma omette il dettaglio riguardante il reato punito dall’articolo 416 bis del codice penale, quello per cui il marito si trova in carcere (all’epoca, sostiene, non era a conoscenza di tale circostanza).

La discrepanza viene però a galla qualche mese dopo durante un controllo sugli stati di famiglia delle famiglie beneficiarie del reddito. Dopo aver chiesto e ottenuto il divorzio, la donna è ora pronta a dimostrare la propria buona fede: sostiene infatti di non aver agito con la volontà di commettere una truffa, ma solo per scarsa conoscenza delle pratiche burocratiche riguardanti il reddito di cittadinanza.