Rimini, Filippo Sanchi: "Dall’Australia al Giappone per i segreti dei cocktail"

Il riminese si è classificato tra i migliori baristi d’Italia

Nella foto gande Filippo Sanchi, secondo da sinistra, durante la gara tra bartender che si è svolta a Rimini

Nella foto gande Filippo Sanchi, secondo da sinistra, durante la gara tra bartender che si è svolta a Rimini

Rimini, 24 giugno 2018 - Whiskey giapponese, liquore alla violetta, crema di Kyoho (una varietà d’uva giapponese), sciroppo di limone, scorza di limone: sono gli ingredienti di ‘Arigato Gozamaisu’ (in giapponese, grazie mille), il cocktail con cui il 31enne riminese Filippo Sanchi è arrivato in finale alla Cocktail Fun Competition 2018, la gara nazionale tra bartender tenutasi recentemente a Rimini.

Il Giappone è una delle tante destinazioni che Filippo ha toccato da quando, sei anni fa, decise di fare le valigie e andare via da Rimini, pur avendo davanti a sé la quieta prospettiva di un lavoro assicurato nelle attività di famiglia.

Ama definirsi ‘barista’ prima ancora che ‘bartender’, termine assai in voga negli ultimi anni. Perché?

«Fin da piccolo ho sempre fatto il barista. Sono cresciuto nelle attività di famiglia: mio padre è titolare della pizzeria ‘La Fornarina’ da 35 anni e per parecchio tempo ha gestito anche un bar-pasticceria insieme a mia madre. I miei primi ricordi sono proprio al bar: a dieci anni sapevo già preparare il caffè ai clienti e, durante le stagioni, davo una mano a sparecchiare i tavoli. Era naturale che scegliessi questo mestiere».

Come mai, allora, ha scelto di andare via?

«Per passione e ambizione. Un barista, per definirsi veramente tale, deve viaggiare, scoprire posti nuovi, conoscere profumi e sapori di terre lontane, ascoltare persone con culture e stili di vita differenti. Conclusa la stagione del 2012, io e i miei amici decidemmo di regalarci un viaggio in Australia: gli altri sono rientrati a Rimini, io sono rimasto a vivere lì».

Quali città ha attraversato in questi sei anni?

«Ho lavorato a Sidney per un anno e mezzo, quindi mi sono trasferito dall’altra parte del continente, a Perth, dove sono rimasto per quattro anni. Poi, durante una mia recente vacanza in Giappone, sono andato all’High Five di Tokyo, ritenuto dalla critica specializzata uno dei dieci migliori bar al mondo. Mi sono presentato al titolare, Hidetsugu Ueno – maestro indiscusso dei cocktail – e gli ho chiesto di poter lavorare al suo fianco, anche solo per un breve periodo. Ha accettato e così ho trascorso gli ultimi due mesi a preparare drink nel bar che è il sogno di chiunque faccia il nostro mestiere».

Quali sono i suoi progetti futuri?

«Sto pensando di avvicinarmi a casa e di tornare a vivere più vicino ai miei familiari, magari in città come Londra o Parigi. Oggi, anche un bar italiano o francese sarebbero ottime mete per chi intende crescere e migliorarsi».

La qualità più importante per un bartender?

«Già quando correvo dietro ai miei genitori nel bar di famiglia, avevo capito che la dote principale di un barista è prendersi cura della gente, saperla ascoltare. Bisogna sentire il bar come casa propria e mettere i clienti a loro agio, parlare con loro, comprendere i loro desideri. Noi riminesi abbiamo questo talento nel sangue e ci viene riconosciuto ovunque, anche dall’altra parte del mondo».