Chef Franco Aliberti cucina gli avanzi a San Patrignano. Ecco 'Il buono che fa bene'

Una sequenza di piatti che non ha mancato di suscitare sorpresa e stupore negli ospiti: come per la michetta e salame, che in realtà è un dolce

L'antipasto, affidato all'estro creativo dello chef Aliberti

L'antipasto, affidato all'estro creativo dello chef Aliberti

Rimini, 5 novembre 2019 - Ha esordito con un fungo che non era un fungo, ha proseguito con un uovo in camicia che non era un uovo in camicia e ha concluso con una michetta e salame che nascondeva, all’assaggio, un dolce squisito. È stata una degustazione all’insegna dell’avanguardia e della sostenibilità, quella proposta lunedì sera dal geniale Franco Aliberti - già pluripremiato Pastry Chef alla corte di Massimo Bottura e attualmente chef del rinomato ristorante milanese “Tre Cristi” - alla pizzeria “Sp.accio” della comunità di San Patrignano (foto). Una sequenza di piatti che non ha mancato di suscitare sorpresa e stupore negli ospiti, molti dei quali amici di vecchia data del 34enne chef salernitano, che proprio qui ha mosso i suoi primi passi in cucina.

L’evento, intitolato “Il buono che fa bene. La pizza come espressione di creatività”, prevedeva un dialogo tra lo stesso Aliberti e il pizzaiolo di Sp.accio, Max Bertoia, ognuno dei quali avrebbe proposto la propria idea di “pizza creativa”. Dopo l’aperitivo di benvenuto, ci si è affidati alla fantasia dello chef campano anche per l’antipasto, che consisteva, tra l’altro, in un “finto” fungo e in un pezzo di croccante con semi di zucca. Come ha spiegato lo stesso Aliberti agli ospiti incuriositi, il “finto” fungo era in realtà una creazione interamente costituita dalle parti meno nobili del fungo, che di solito vengono buttate via, come i gambi, le parti ammaccate e addirittura quelle terrose. Un’esplosione di delizia a spreco zero, insomma, perfettamente in linea con l’idea di cucina etica e sostenibile caparbiamente sostenuta da Aliberti, che nel suo ristorante di Milano propone piatti costituiti per la maggior parte da avanzi e prodotti di recupero e utilizza solo materie prime a km0, biologiche e certificate. «È giunto per noi il momento di fare un passo indietro», ha osservato lo chef. «Gli allevamenti intensivi, lo sfruttamento indiscriminato della terra e la distruzione della biodiversità ci hanno portato alla situazione allarmante di oggi. La nostra missione è tornare alla cucina della tradizione, riproponendola in chiave moderna».

Lo chef Franco Aliberti (a sinistra) e il pizzaiolo di Sp.accio Max Bertoia (a destra) E di modernità ce n’era davvero tanta nella pizza creata da Aliberti, che vedeva adagiato, su un impasto integrale e un letto di spinaci, un “finto” uovo in camicia, costituito, in realtà, da ricotta e carota. Dopo la pizza “mare e orto” creata da Bertoia, ecco la chiusura con effetti speciali, nuovamente opera di Aliberti. La “michetta e salame”, servita come se fosse un vero panino col salame, era in realtà un dolce in cui si fondevano alla perfezione l’impasto del bignè, una crema allo yogurt e limone e una “fettina” fatta di mirtilli e cioccolato bianco. Un mix che ha fatto impazzire gli ospiti. Tutti i piatti sono stati accompagnati da tre birre fornite dallo storico birrificio riminese Amarcord, che ha visto, fra i suoi tanti estimatori, anche l’indimenticato poeta Tonino Guerra. Tre birre della serie “Ama”: progetto fiorito da un incontro, avvenuto a New York, con il mastro birraio di Brooklyn e il designer di fama internazionale Milton Glaser (inventore del celeberrimo logo I Iove NY), che ha disegnato la bottiglia.

Vecchia conoscenza della Romagna, Franco Aliberti è approdato da “Vite”, il ristorante di San Patrignano, nel 2008 e vi è rimasto fino al 2011: tre anni intensi, in cui ha formato centinaia di ragazzi in percorso, insegnando loro i mestieri della cucina. «L’esperienza a San Patrignano mi è rimasta nel cuore», ha raccontato lo chef. «Ho imparato tanto da ognuno dei miei allievi e spero di trasmettere la stessa lezione ai miei figli. In comunità potevo esercitare la mia creatività su più fronti: mi cimentavo spesso nelle decorazioni e nella tessitura, oltre che ai fornelli. Le mie idee sulla cucina etica e di recupero si sono certamente rafforzate a San Patrignano: questi ragazzi sono un po’ come le mie mele ammaccate, che qualcun altro butterebbe via. Ci insegnano ogni giorno che tutti possiamo cadere e rialzarci. Tornare qui dopo otto anni è un’emozione che non riesco a descrivere».