REDAZIONE RIMINI

Galli e l’inno dei lavoratori. La musica del riscatto sociale tra arte, politica e repressione

Andrea Montemaggi ricostruisce con rigore documentario e passione civile la vicenda di uno dei canti più iconici del movimento operaio italiano, composto dal musicista riminese.

Andrea Montemaggi ricostruisce con rigore documentario e passione civile la vicenda di uno dei canti più iconici del movimento operaio italiano, composto dal musicista riminese.

Andrea Montemaggi ricostruisce con rigore documentario e passione civile la vicenda di uno dei canti più iconici del movimento operaio italiano, composto dal musicista riminese.

È un libro che somiglia a una riscoperta civile quello firmato da Andrea Montemaggi, Amintore Galli e l’inno dei lavoratori (Società di Studi Storici per il Montefeltro), che riporta sotto i riflettori la figura del musicista romagnolo a cui è intitolato il Teatro Comunale di Rimini.

Un canto, quello di Amintore Galli, che un tempo infiammava piazze, tribunali e cuori proletari, fino a diventare bersaglio di un’accanita repressione giudiziaria. Nato a Talamello il 12 ottobre 1845, Galli fu non solo un raffinato musicologo e autore di sinfonie ammirate dai suoi contemporanei, ma anche – e soprattutto – l’anima musicale dell’Inno dei lavoratori, composto nel 1886 su testo di un giovane Filippo Turati.

Un brano che, insieme a Bandiera rossa e L’Internazionale, avrebbe formato la trinità sonora del socialismo italiano. Ma a differenza degli altri, l’Inno musicato da Galli nacque in sordina, tra pseudonimi e silenzi, per poi deflagrare in tribunale: chiunque ne intonasse anche solo una strofa rischiava 75 giorni di carcere e 100 lire di multa – una somma che, per un operaio dell’epoca, equivaleva a settimane di lavoro.

Montemaggi, con una scrittura serrata e un piglio d’archivista appassionato, ricostruisce questo itinerario con precisione millimetrica. Esamina sentenze, sequestri di spartiti, articoli dei giornali dell’epoca (tra cui “Il Secolo”, dove lo stesso Galli era critico musicale), e illumina quel tratto d’Italia dove cantare un inno equivaleva a sfidare l’ordine costituito.

La narrazione restituisce voce non solo a Galli ma a un’intera stagione di fermento sociale e culturale: gli anni in cui anche a Rimini si cantava per rivendicare dignità, mentre la monarchia tremava al suono di un do maggiore.

E proprio Rimini è coprotagonista silenziosa di questo racconto. È qui, in via Gambalunga, che una lapide ricorda l’abitazione di Galli.

È qui, sul palcoscenico del teatro che oggi porta il suo nome, che risuona il paradosso: quel teatro, risorto in tutta la sua bellezza architettonica nel 2018, non ha mai ospitato una sola nota dell’Inno che ne giustificò l’intitolazione nel 1947, quando il Paese, uscito dalla guerra, cercava nuovi simboli identitari.

In un’epoca in cui il ricordo storico si fa evanescente e i simboli della lotta operaia sembrano finiti nei cassetti, Montemaggi ci ricorda che la memoria ha ancora un suono. Ed è quello, nitido e fiero, di una marcia composta da un garibaldino riminese che volle dare voce – in musica – a chi non ne aveva.

In tempi in cui il lavoro torna protagonista delle urne – e l’8 e 9 giugno l’Italia è chiamata proprio a votare su temi occupazionali cruciali – riscoprire Amintore Galli e il suo inno non è solo un esercizio di storiografia: è un atto politico.

È riappropriarsi di una tradizione che vede nella cultura, e nella musica, una forma altissima di impegno civile.

Non sarà tempo, allora, che quel teatro – oggi finalmente restituito alla città – risuoni almeno una volta con le note di quell’inno “proibito” che contribuì a fare la storia di un popolo e di un’idea?

Carlo Cavriani