RITA CELLI
Cronaca

Guerrina, bloccato il conto. Per lo Stato non è morta

La Piscaglia è stata uccisa nel 2014, ma il certificato di morte non c’è e il cortocircuito burocratico impedisce ai familiari di accedere ai fondi. Intanto va avanti la causa civile intentata dalla famiglia di Guerrina contro la Chiesa, a cui è stato chiesto un milione di risarcimento

A sinistra, padre Gratien Alabi. A destra, Guerrina Piscaglia, scomparsa l’1 maggio 2014

A sinistra, padre Gratien Alabi. A destra, Guerrina Piscaglia, scomparsa l’1 maggio 2014

Rimini, 25 aprile 2025 – Guerrina Piscaglia è ancora viva. O meglio, per la burocrazia italiana è così. Il destino della casalinga di Novafeltria, uccisa 11 anni fa dal suo parroco, padre Gratien Alabi, è infatti ancora sospeso in un limbo anagrafico.

Senza un certificato ufficiale di morte, la donna ha ancora aperto il suo conto corrente in un istituto di credito di Novafeltria e la banca non può ne chiuderlo ne trasferirlo ai familiari.

Nonostante la sentenza definitiva di qualche anno fa, quando la Cassazione condannò nel 2019 Gratien, dichiarando che uccise Guerrina il giorno stesso della sua scomparsa a Cà Raffaello, nel comune di Badia Tedalda (provincia di Arezzo), il 1° maggio 2014. E poi ne fece sparire il cadavere.

Il prete congolese sta scontando 25 anni di carcere a Rebibbia. Ma il corpo della vittima non è stato mai ritrovato e tutte le questioni amministrative restano ancora in sospeso. Guerrina è sparita dai radar dell’anagrafe, ma manca ancora un pezzo di carta che ne ufficializzi il decesso.

La rigida burocrazia non si accontenta della conclusione del procedimento penale. I familiari stanno cercando di procedere con l’iter per dichiararne la morte presunta, ma serviranno mesi e una serie di passaggi in tribunale.

Nel frattempo, nei giorni scorsi ad Arezzo si è concluso un altro iter sulle due distinte cause civili contro la Diocesi di Arezzo, promosse dalla famiglia di Guerrina e da quella di Mirco Alessandrini, marito della donna. Il giudice, dopo aver sentito le parti, i legali dei familiari della Piscaglia e quelli di diocesi e Vaticano, dovrà decidere entro fine giugno se condannare o meno l’istituzione ecclesiastica a risarcire la famiglia della donna, fatta sparire e uccisa da un parroco, ministro della Chiesa.

Gli Alessandrini chiedono un milione di euro. Le sorelle di Guerrina una cifra molto vicina. A sostenere le ragioni di Mirco, e del figlio Lorenzo sono gli avvocati Francesca Faggiotto e Nicola Detti: “Riteniamo che ci sia una responsabilità oggettiva, secondo l’articolo 2049 della Costituzione. La diocesi è una sorta di azienda e c’era un rapporto di lavoro in atto con padre Gratien, che si è macchiato del delitto. Veniva stipendiato e il parroco svolgeva la sua funzione h24. La diocesi doveva vigilare, viste anche le segnalazioni e lamentele sulla condotta di Alabi, arrivate da altri parrocchiani prima della scomparsa di Guerrina”.

Quel 1° maggio del 2014 la Piscaglia aveva 49 anni. Uscì di casa dopo pranzo per incontrarsi con il religioso e sparì per sempre. Secondo la sentenza definitiva, Gratien avrebbe eliminato Guerrina perché diventata scomoda dopo una relazione, documentata da migliaia tra sms e contatti telefonici.

Una condanna incentrata tutta sugli spostamenti rilevati dalle celle telefoniche dei due, e sugli errori commessi nel digitare messaggi con il cellulare di Guerrina (mai ritrovato) per depistare. Il giallo su questa mamma non è ancora risolto.

Senza il corpo non esiste nemmeno una tomba per lei. I familiari, però, anche questo 1° maggio, la ricorderanno tutti insieme con una funzione religiosa.