Hotel usati per ripulire denaro: altre 5 condanne

Due anni e otto mesi anche ai due figli e alla moglie di D’Amico, l’albergatore proprietario delle strutture

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Hotel gestiti senza pagare tasse, contributi e bollette. Società che aprivano e chiudevano a tempo di record, intestate a dei prestanome. Fiumi di denaro da Rimini fino all’Albania per evitare che i creditori potessero mettere le mani sui soldi. Questo il vaso di Pandora scoperchiato dai militari della Guardia di Finanza nell’ottobre del 2019, al termine di un’inchiesta coordinata dal sostituto procuratore Paolo Gengarelli. Un’indagine che aveva portato all’iscrizione nel registro degli indagati di undici persone, incluso Mauro D’Amico, imprenditore 69enne originario di Teramo ma trapiantato in Riviera, alla guida di un piccolo impero di hotel sparsi per la provincia. Lo scorso settembre i legali di D’Amico hanno chiesto il patteggiamento.

Altre sei persone hanno invece scelto la strada del rito abbreviato, potendo così beneficiare di uno sconto di pena. Nei giorni scorsi il gip del tribunale di Rimini ha pronunciato una sentenza di condanna per cinque di loro. Si tratta di Ercole e Veronica D’Amico, figli dell’albergatore, e della moglie Anna Frabotta, condannati a due anni e otto mesi di reclusione per l’impiego di denaro o beni di provenienza illecita. Per il reato di bancarotta semplice, sono stati invece condannati ad un anno (pensa sospesa) Ferrara e Alsabbagh. Gli imputati sono stati invece ritenuti innocenti e quindi assolti per tutti gli altri capi di imputazione a loro contestati. Il giudice ha inoltre respinto la richiesta di risarcimento che era stata avanzata dalle parti civili (tra cui Hera, l’Agenzia delle entrate e la curatela fallimentare di due società), disponendo inoltre la confisca dei beni inizialmente sequestrati.