Impresa in montagna, "Dal borgo alle nevi del Kilimangiaro"

Tre riminesi hanno scalato il tetto dell’Africa: "Adesso sogniamo la Patagonia"

Verso la vetta

Verso la vetta

Rimini, 27 marzo 2015 - Tutta colpa di Hemingway. E della famosa leggenda del leopardo. «Non l’abbiamo trovata, naturalmente, la carcassa del leopardo di cui narrava Hemingway. Ma la vista da lassù era meravigliosa». A quasi 6mila metri d’altezza il mondo sembra tutta un’altra cosa. Ma quanta fatica prima di arrivare lassù, in vetta al Kilimangiaro, il tetto dell’Africa. Per farcela, Dario e i suoi compagni d’avventura hanno impiegato cinque giorni, e mesi d’allenamento. Ne è valsa la pena: «Imprese così sono quelle che ti cambiano la vita». L’hanno già cambiata a Dario Fucchi, Stefano Morri e Stefano Simeone, i tre riminesi che alla fine di febbraio sono riusciti a scalare il Kilimangiaro. Un commerciante di bici (Fucchi), un gioielliere (Morri) e un venditore di moto (Simeone) accomunati dalla passione per il trekking, capasci di scalare alcune delle cime più alte del mondo. «Ma il Kilimangiaro mancava. E una volta in vetta, abbiamo subito issao la bandiera dell’associazione Zeinta de borg con la scritta Rimini...». Giusto il tempo di fare uno scatto e godere del panorama a quota 5.895 metri, poi subito il ritorno perché «rischiavamo di congelarci». Come quel leopardo.

Fucchi, quando avete deciso di compiere l’impresa?

«A dirla tutta ci avevamo provato due anni fa, fallendo. L’avevamo presa un po’ alla garibaldina, forse troppo convinti dei nostri mezzi. Non era la prima impresa: abbiamo già fatto importanti scalate in Nepal, anche sull’Anapurna».

Così avete ritentato, a febbraio...

«Sì, ma stavolta preparandoci meglio e scegliendo un sentiero diverso. Il problema non è salire, ma resistere al freddo e all’altitudine».

Mai avuto paura di non farcela anche stavolta?

«Spesso. La mancanza di ossigeno, le temperature sotto lo zero... E in certi punti il sentiero era arduo: un passo falso e saremmo caduti nel vuoto. Per non parlare del pericolo di contrarre l’ebola».

Chi vi ha aiutato nella spedizione?

«Avevamo un gruppo di 15 persone tra guide, portatori e cuoco. La ‘squadra’ è fondamentale: per arrivare in cima ci abbiamo messo 5 giorni, ogni notte si dormiva nella tenda sfidando il vento e le temperature gelide. Senza di loro non ce l’avremmo fatta. Noi siamo gente di mare, non abituati a un clima così rigido».

Ha già studiato la prossima ‘missione’?

«Mi piacerebbe andare in Patagonia, ma per ora mi godo il Kilimangiaro. Era il mio sogno da ragazzino. Quando ho letto il racconto di Hemingway ho sempre pensato: prima o poi vedrò anch’io le nevi del Kilimangiaro. Ci sono riuscito a 57 anni».