"Aggredito per difendere mio padre: la mia vita rovinata per sempre"

Kevin Fiore, 22 anni: "Tanti problemi fisici, ma non mi arrendo"

Kevin Fiore

Kevin Fiore

Rimini, 15 aprile 2016 -  'L'albero di Kevin’, una magnolia piantata nel piazzale dell’aeroporto, per sottolineare ‘il giorno della rinascita’ dello scalo.

Lei come sta?

«Così... ho dei giorni sì, e dei giorni no». Parla a fatica Kevin Fiore, il 22enne ridotto in fin di vita nell’aggressione subita al ‘Fellini’ lo scorso 5 agosto da parte di due uomini. Ha accolto l’invito dei dirigenti di Airiminum.

Contento dell’iniziativa?

«Sì, anche se avrei preferito che mi fosse riconosciuta per altro, non per quello che è accaduto».

Come si spiega il pestaggio?

«Non me lo spiego».

Cosa chiede?

«Solo giustizia. Pensi che sono stato controdenunciato, sostenendo che io avrei aggredito».

Com’è cambiata la sua vita?

«Ringrazio di essere ancora vivo. I medici avevano detto ai miei di pregare, quand’ero in coma. Poi che sarei rimasto cieco. E in sedia a rotelle».

Adesso ci vede?

«Poco, solo frontalmente, non ho visione laterale».

Cammina?

«A fatica, lentamente, ma cammino. Ho problemi per la trachea, di respirazione e deglutizione».

Può guidare?

«Non posso più guidare. Non posso più giocare a calcio, nè fare thai, nè bere birra o alcol o bevande gasate, nè fumare. Non riesco a concentrarmi. Mi hanno spezzato la vita».

E’ dura?

«Durissima. Ma devo abituarmi. Non potrò più essere quello che ero. Mi alzo e ogni giorno non vedo me nello specchio. Vedo un’altra persona. Ho un po’ di rabbia».

Ricorda l’aggressione?

«Non ricordo niente. La polizia mi ha mostrato un video per il riconoscimento. Mi ero messo in mezzo per difendere mio padre. So che se non fosse intervenuto qualcuno non sarei qui».

E’ autonomo?

«Non posso fare niente se non mi accompagna qualcuno. E ringrazio mia mamma Paola, mio babbio Giovanni e i miei fratelli che mi sono sempre stati vicini».

Frequenta ancora gli amici?

«Poco, e poi non riesco a stare in una discoteca».

Ha una ragazza?

«No. Non posso negare che non riesco più a rapportarmi in modo normale con l’altro sesso. Non ho più la mia sicurezza. E’ una difficoltà fisica, ma anche psichica».

Ricorda qualcosa del coma?

«Solo un corridoio, lungo. Poi mio nonno Antonio, che è morto: mi è apparso, abbiamo litigato. E mi sono svegliato».

Coi suoi amici che le parlavano al suo capezzale, era ferragosto.

«Già».

Sta facendo riabilitazione?

«Tanta, e terapie. Se sono forte posso ancora migliorare, anche se non tornare come prima. Ogni giorno combatto. Quello che è difficile poi dura. Le cose facili vanno via presto».

Lei è credente?

«Prima bestemmiavo spesso. Non lo faccio più. Ma non mi definirei credente».

Dove trova la forza?

«Nella mia famiglia, in me stesso. Ne sapere che le cose materiali passano, oggi le hai, domani no. Invece le persone che ti vogliono bene ci sono oggi, e ci sono domani».