La lingua batte dove il potere vuole

Gli studenti italiani sono scarsi in inglese, ma anche i leader politici italiani non sono esempi di maestria linguistica. Per questo è importante usare un linguaggio universale per salvaguardare la lingua italiana.

La lingua batte dove il potere vuole

La lingua batte dove il potere vuole

Roma caput mundi. Forse una volta, quando il latino era la lingua dell’impero. Poi la situazione è un po’ cambiata, e soltanto il pontefice ora può permettersi di parlare italiano all’estero, qualunque altro leader (pardon, capo) nostrano verrebbe invitato a usare l’inglese. Perché, lo voglia o no, da qualche tempo sono gli americani a dettare le regole in campo geopolitico come in quello economico. Biden vale più di Meloni, anche se a una fetta del mondo l’egemonia statunitense non va proprio giù. Ma restiamo con i piedi per terra, limitiamoci alle cose di casa nostra. Meglio, al cortile delle nostre scuole. Mi permetto di contraddirla: in inglese gli studenti italiani sono piuttosto scarsini. Lei che da anni si batte per la salvaguardia del latino, capirà bene quanto sia importante usare un linguaggio universale. I nostri ragazzi arrancano rispetto ai loro colleghi europei. D’altronde hanno pessimi esempi, mi riferisco ai leader (mi perdoni) politici italiani piuttosto zoppicanti quando si tratta di lingue straniere. Si salvano Meloni e naturalmente Mario Draghi. Ma c’è un rischio più grave: che oltre all’inglese la generazione dello smartphone (ahia) non metta più insieme quattro parole in italiano.