La vocazione riminese alla pernacchia

Neppure i più fascisti dei riminesi potevano resistere quando lo vedevano mietere a torso nudo durante la battaglia del grano o quando sfoderava i sorrisini compiaciuti sul balcone di Palazzo Venezia. Se nello sberleffo siamo così diversi perfino dai romagnoli che distano da noi dieci chilometri, è forse perché la tendenza a spernacchiare i condottieri l’abbiamo ereditata da quei 25mila soldati-coloni provenienti dai territori laziali un tempo in conflitto con Roma, che la capitale prudentemente si tolse di torno spedendoli a difendere i confini. È noto che durante i trionfi i legionari, per evitare che i loro generali vittoriosi si montassero troppo la testa, mescolavano alle frasi di lode anche quelle di scherno, accompagnandole spesso con un forte soffio d’aria tra le labbra serrate. E se lo facevano le disciplinate legioni dei Romani ‘de Roma’ , figuratevi il fracasso che usciva dalle bocche di quei nostri antenati laziali anarchici e ribelli. Roba da seppellire Duci e Imperatori. Come, d’altronde, facciamo ora noi con le loro statue.

Giuliano Bonizzato