Le liti, le pistole e l’aiuto chiesto a uno psicologo

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Una coppia in crisi fin dai primi mesi. E la nascita del figlio, arrivato poco dopo l’inizio della loro relazione, non aveva di certo contribuito a migliorare le cose. Anzi: proprio la gestione del figlio, la paura di vederlo sempre di meno, avrebbe spinto Simone Benedetto Vultaggio a uccidere Cristina Peroni. Non è l’unico elemento che dovrà accertare l’indagine della Squadra mobile della Polizia sull’omicidio di via Rastelli, coordinata dal sostituto procuratore Luca Bertuzzi (nella foto). Che ieri, nel primo pomeriggio, ha interrogato Vultaggio, ma lui si è avvalso della facoltà di non rispondere. Poche parole al pm da parte dell’assassino, apparso ancora non consapevole di quello che ha fatto. "Voglio rivedere mio figlio, ditemi come sta mio figlio", ha chiesto più volte ieri ai poliziotti Vultaggio. Che risulta incensurato. In passato (quattordici anni fa) le forze dell’ordine si erano occupate di lui per un’aggressione che aveva subito da un buttafuori, fuori da un noto locale sul lungomare. I colleghi di lavoro lo descrivono come una persona taciturna e che si fidava poco degli altri. Stando a quanto riferito dai vicini di casa, aveva il porto d’armi e fino a poco tempo fa possedeva alcune pistole. Su questo elemento e su altri dovrà fare luce l’indagine, così come sulle stato di salute mentale di Vultaggio, che andava da uno psicologo ed era seguito dai servizi di igiene mentale dell’Ausl per i problemi di ansia e insonnia di cui soffriva da alcuni mesi. Vultaggio, difeso dall’avvocato Alessandro Buzzoni, dovrà rispondere dell’accusa di omicidio volontario, aggravato dal contesto familiare.