
di Carlo
Cavriani
Tutte le sere, quando si accendono le 30mila luci della città, prova ancora una grande emozione. "Considero i lampioni come i miei figli, li chiamo ‘i miei bambini’".
Fanno parte della sua vita. Una vita piena di ricordi. Come quando ha messo piede per la prima volta nell’ufficio illuminazione pubblica, in piazzale Tosi, dove adesso c’è la sede della Cna.
In Comune a Rimini, Igino Vichi, 65 anni, sposato, due figli, inizia a lavorare il primo settembre del 1979. Aveva appena terminato il servizio militare con in tasca un diploma di perito elettronico. "All’epoca il Comune lavorava in proprio, nel senso che avevamo tutte le attrezzature. Non c’erano appalti, avevamo le nostre maestranze", racconta Vichi.
"Quando mi hanno assunto, ho giurato nel palazzo dell’Arengo, c’era questa usanza che ti dava un forte senso di appartenenza, di responsabilità". Il papà faceva il tranviere, la mamma casalinga. Comincia come operaio, per finire istruttore direttivo, funzionario tecnico, sempre all’ufficio illuminazione pubblica.
Ora è in pensione. Quando ha smesso (pochi giorni fa) hanno organizzato una bella festa in municipio. C’era anche il sindaco Jamil Sadegholvaad con tutta la giunta. E Igino, un po’ commosso, ma sempre con quel filo d’ironia, ha raccontato la sua storia. "Ho iniziato a piantare i pali della luce con la vanga, a mano. Con i vecchi dipendenti che mi hanno insegnato tutto. Era gente che aveva il lavoro nel sangue. Rifiutavano la tecnologia, le prime trivelle non le volevano neanche vedere: ’Fem prima a far a mén’, dicevano".
Si dovevano cambiare le lampadine, una per una. "Chi lo sapeva dove era via Locarno? Non c’era Google Maps. Bisognava avere memoria visiva". Trentamila punti luce, 870 lanterne semaforiche, 56 impianti semaforici, 455 cabine d’illuminazione. Igino conosce la città centimetro per centimetro. All’inizio le lampadine erano ad incandescenza, "si fulminavano ad ogni alito di vento".
"Giravamo con pacchi di lampadine, mia mamma mi ha comprato un giubbotto da cacciatore per infilarle nelle tasche, altrimenti c’era il pericolo di rovesciarle giù per le scale". Poi sono arrivate quelle a basso consumo, quindi quelle ’a scarica’ e infine a Led. "Ora c’è un progetto del Comune, per cambiare tutto il parco illuminazione a Led, un bel risparmio d’energia", suggerisce Vichi.
Lavorava tutti i giorni da lunedì al sabato, solo la mattina. "Poi, però, avevamo il servizio di pronto intervento". Con l’esternalizzazione è cambiato tutto. Momento storico, l’anno 2000. Da quel momento non c’è stato più un rapporto diretto con il cittadino, "eravamo noi che rispondevamo al telefono". Poi si è passati al Numero Verde. "Me stàg in campagna, ad verde ag gno’ quant cat voi". Così gli ha risposto una signora anziana che chiedeva la sostituzione di una lampadina. La linea di demarcazione con la globalizzazione doveva ancora essere superata.
Lampadina che in generale, oltre ad agevolare automobilisti, ciclisti e pedoni, è sempre stata considerata dai cittadini come una compagna di vita.
"Una volta ci ha scritto un signore di Santa Cristina: ’Sono nato nel 1936 alla luce di una candela, non vorrei morire senza vedere almeno una lampadina davanti a casa’". Richiesta poetica per un punto luce.
"Sono stato fortunato - dice Vichi - ho sempre considerato il mio lavoro come un servizio, mi ha dato tante soddisfazioni. Noi siamo una generazione di tecnici che conosciamo e amiamo la nostra città con tutto il cuore". Su 750 km di strade comunali, 550 sono illuminate.
"La spiaggia è un bel tema. Il Comune è intervenuto nelle zone libere, il resto spetta ai bagnini. Negli anni ‘90 erano state proposte delle torri-faro, ma non se ne fece niente". Una corretta illuminazione urbana gioca un ruolo fondamentale, non soltanto per diminuire i consumi energetici e i costi collegati, ma anche per migliorare e valorizzare l’immagine della città stessa.
Lampioni, dal cemento all’acciaio, Igino ne ha visti tanti. Così come le lampadine. "Ricordo quella volta che il sindaco Andrea Gnassi voleva cambiare quelle dell’albero di Natale da mettere in piazza. Erano brutte, bianco ghiaccio, tetre. Abbiamo trovato le lampadine giuste a Napoli, città della luce, dei colori, dei fuochi d’artificio. Io e Corrado (l’autista del sindaco) siamo partiti in auto per andare a , 11 ore di viaggio, andata e ritorno con Corrado che non smetteva mai di parlare. Un’esperienza davvero... illuminante".