Mafia, imprenditore arrestato durante il Sigep

Pasquale Saitta è accusato di avere legami con la famiglia Rocca Mezzomonreale. Catturato nell’hotel di Rimini in cui alloggiava

mafia, imprenditore arrestato durante il Sigep

mafia, imprenditore arrestato durante il Sigep

Rimini, 25 gennaio 2023 - È stato un Sigep amaro per un imprenditore palermitano di 68 anni attivo nel settore dolciario che ieri notte di rientro dagli stand della Fiera nell’hotel di Rimini in cui alloggiava è stato arrestato dai carabinieri con le pesanti accuse di associazione mafiosa ed estorsioni, consumate e tentate, con l’aggravante di avere favorito Cosa nostra.

Il presunto boss Pasquale Saitta è finito in manette al culmine del blitz antimafia compiuto tra Riesi, nel nisseno, e Rimini insieme ad altre sei persone nel mirino dei carabinieri del Nucleo investigativo del Reparto operativo del Comando provinciale di Palermo. Il 68enne, che si trovava a Rimini per seguire il grande evento fieristico, è accusato insieme agli altri sei indagati arrestati di essere legato alla famiglia mafiosa di Rocca Mezzomonreale, la costola del mandamento palermitano di Pagliarelli, le cui storiche figure di vertice erano già emerse in rilevanti attività per la vita mafiosa come la gestione del viaggio a Marsiglia del boss Bernardo Provenzano per sottoporsi a cure mediche o la tenuta dei contatti con l’ormai ex latitante trapanese Matteo Messina Denaro. Dopo l’arresto, Pasquale Saitta è stato trasferito al carcere di Rimini in custodia cautelare, così come è stato disposto dal gip del Tribunale di Palermo, il quale ha emesso altre sei misure di cui altre quattro in carcere e due ai domiciliari.

L’arresto nella stanza di hotel in Riviera è stato uno degli esiti dell’indagine condotta e coordinata dalla Dda guidata dal procuratore Maurizio de Lucia, che ha appunto colpito la famiglia mafiosa di Rocca Mezzomorreale e i suoi vertici, già condannati in via definitiva e tornati liberi dopo aver scontato la pena. In cella sono finiti anche uomini d’onore riservati, sfuggiti finora alle indagini, che sarebbero stati chiamati in azione solo in momenti di criticità per la cosca.

Le indagini avrebbero inoltre permesso di sventare un omicidio. La sentenza di morte, decisa durante un summit di mafia, venne emessa nei confronti di un architetto che nella sua attività, secondo i boss, aveva commesso alcune mancanze verso il clan. I carabinieri, inoltre, hanno ricostruito diverse estorsioni a imprenditori e commercianti, con gli incassi che avrebbero alimentato le casse della famiglia. A volte i boss imponevano le ditte a loro vicine. Per convincere la vittima a pagare, in un caso venne fatta trovare vicino al cancello di un’abitazione una bambola con un proiettile conficcato nella fronte.