Omicidio Mannina, morta la complice del killer

Monica Sanchi è deceduta nella clinica dove si trovava da anni. Era stata l’amante di Dritan Demiraj

E' morta Monica Sanchi (a sinistra), era stata l’amante di Dritan Demiraj

E' morta Monica Sanchi (a sinistra), era stata l’amante di Dritan Demiraj

Rimini, 5 febbraio 2019 - «Non sono un mostro, non giudicatemi troppo severamente». Era il maggio del 2016, e fu l’ultima intervista di Monica Sanchi, già confinata a letto da una malattia che la stava paralizzando. L’amante di Dritan Demiraj, il killer albanese che con la sua complicità uccise due persone, è morta sabato notte a 40 anni per un arresto cardiaco, nella clinica di Misano dove si trovava in regime di ‘detenzione domiciliare’. Era stata condannata a trent’anni, ma la neoplasia al midollo spinale l’aveva sottratta quasi subito alla giustizia degli uomini, costringendola a fare i conti con una condanna molto più dura di quella che le aveva inflitto la corte d’Assise. Quasi contemporaneamente, anche l’uomo che amava e per il quale aveva gettato la sua vita in un pozzo nero, era finito in stato vegetativo dopo lo scontro in carcere con un bullo più forte di lui. Quando lo venne a sapere, Monica non ebbe pietà: «La mia maledizione è stata quella di incrociare la sua strada. Di averlo amato».

Un amore che, aveva concluso nelle interminabili giornate passate immobile, probabilmente era stato solo un piano messo in atto dall’albanese. A lui serviva una donna che lo aiutasse a consumare la sua vendetta nei confronti dell’ex compagna, Lidia Nusdorfi, che l’aveva tradito. Ma la madre dei suoi figli si era nascosta bene, sicura che se l’avesse trovata l’avrebbe ammazzata. Non sbagliava, e pur di riuscire a scovarla Dritan aveva chiesto a Monica di attirare in una trappola Silvio Mannina, l’ultimo uomo che Lidia aveva frequentato, e alle cui telefonate avrebbe risposto.

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Mannina era caduto nel tranello, era stato torturato e ucciso, e il suo cellulare usato per dare appuntamento a Lidia. La Sanchi aveva fatto da spalla a Dritan fino alla fine. «Non sapevo che l’avrebbe ammazzato – giurò quando venne arrestata – nè che sarebbe andato ad uccidere anche Lidia. E’ successo tutto così in fretta, e se avessi parlato o se fossi intervenuta mi disse che avrei fatto la stessa fine». La sua vera condanna, disse poi, era quella di rivivere ogni momento la morte di Silvio. «Ogni volta che chiudo gli occhi sento le sue invocazioni d’aiuto. Se tornassi indietro, se potessi tornare indietro fermerei Dritan». Demiraj non ricorda niente di quello che ha fatto, nè saprà mai che Monica è morta o se glielo diranno, se ne dimenticherà il momento dopo. Sopravvissuto al coma, il pestaggio in carcere l’ha lasciato come un bambino di 12 anni, e anche la giustizia l’ha lasciato andare. Sta in una clinica a Parma, assistito dai genitori.

Per finire il quadro, manca però ancora la figura di Sadik Dine, lo zio di Dritan. Per lui la morte della Sanchi potrebbe essere decisiva, perchè era l’unica ad accusarlo di avere aiutato il nipote negli omicidi. Nel processo di primo grado Sadik era stato condannato a soli cinque anni, ma in Appello gli avevano dato l’ergastolo. Il suo avvocato, Massimiliano Orrù, era ricorso in Cassazione: era necessario sentire di nuovo Monica Sanchi. La Suprema Corte gli aveva dato ragione, e tutto era tornato a Bologna. Il processo comincia domani, Monica però non potrà più accusare nessuno.