LORENZO MUCCIOLI
Cronaca

Morta dopo l’intervento ai reni: errore medico, un milione ai figli

La sentenza della Cassazione, dopo il decesso avvenuto nel 2009 di una riminese di 37 anni, per shock settico in seguito a un intervento programmato per la rimozione di calcoli renali all’ospedale Maggiore di Bologna

I medici e il personale sanitario non hanno raccolto in modo corretto tutte le informazioni sulla salute del paziente

I medici e il personale sanitario non hanno raccolto in modo corretto tutte le informazioni sulla salute del paziente

Rimini, 12 aprile 2025 – Un risarcimento di oltre un milione di euro che arriva a quasi 16 anni di distanza dalla morte, a seguito di un intervento eseguito all’ospedale Maggiore di Bologna, di una donna riminese di 37 anni, madre di due figli. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dall’azienda Usl di Bologna contro la sentenza con cui era stata condannata a risarcire i familiari di una paziente deceduta nel 2009 a seguito di un intervento programmato per la rimozione di calcoli renali. Il decesso, avvenuto tre giorni dopo l’operazione, fu causato da uno shock settico.

Secondo quanto emerso nei vari gradi di giudizio, il personale sanitario non avrebbe raccolto in maniera adeguata i dati anamnestici né eseguito le analisi preoperatorie necessarie, nonostante la paziente fosse già in cura per infezioni alle vie urinarie. In base alle linee guida europee e nazionali, sarebbe stato necessario un approfondimento diagnostico e una terapia antibiotica mirata. Come evidenziato dalla Suprema Corte, “la causa del decesso è stata individuata nell’insufficiente raccolta dei data anamnestici prima dell’operazione, necessitata in quanto programmata, ma non d’urgenza, e nella conseguente mancata predisposizione di adeguata terapia antibiotica ad ampio spettro non appena avuta la certezza dello stato settico“.

Il procedimento penale a carico dei sanitari si era concluso con un proscioglimento in quanto il pubblico ministero aveva richiesto l’archiviazione poi accordata dal gip nonostante l’opposizione da parte dei parenti: secondo i consulenti della Procura, infatti, nonostante la mancata “instaurazione di una terapia antibiotica“, non vi era “la possibilità di stabilire se e in che modo l’operato degli urologi, seppur non strettamente aderente ai suggerimenti della letteratura, abbia influito sul decesso“. In sede civile i familiari della vittima (marito, figlia e fratello) – rappresentati dagli avvocati Saverio Bartolomei e Jessica Rogazzo – hanno ottenuto ragione sia in primo grado che in appello. La Cassazione ha ora confermato la decisione, ritenendo fondate le motivazioni già espresse nei precedenti gradi di giudizio. La Suprema Corte ha anche rigettato le eccezioni dai ricorrenti circa l’ammontare del risarcimento e la qualificazione dei consulenti tecnici, ritenendo infondate le doglianze e inammissibili i tentativi di rimettere in discussione valutazioni già espresse nei giudizi precedenti. “E’ stata accertata la responsabilità - ha spiegato l’avvocato Saverio Bartolomei - ed è stata emessa una sentenza non più impugnabile che sancisce il risarcimento per i miei assistiti. Lo stesso importo riconosciuto alla figlia della vittima, 329mila euro, sarà liquidato anche al secondo figlio della 37enne”.