Omicidio di Rimini, la rivelazione. "Ho parlato con l’assassino del senegalese"

Detenuto sostiene di avere raccolto le confidenze dell’albanese

Il luogo in cui è stato trovato  il cadavere di Makha Niang,  il senegalese ucciso in via Coletti

Il luogo in cui è stato trovato il cadavere di Makha Niang, il senegalese ucciso in via Coletti

Rimini, 13 giugno 2018 - Un detenuto del carcere dei Casetti entra a gamba tesa nel delitto di San Giuliano. Raccontando agli inquirenti di avere raccolto le ‘confidenze’ di uno dei due albanesi indagati per l’omicidio, il quale gli avrebbe confermato di esserci dentro fino al collo.

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Un colpo di scena ancora tutto da approfondire, quello che si è verificato nell’indagine per l’assassinio di Makha Niang, ucciso la notte tra il 17 e il 18 aprile scorso, accanto a una panchina di via Coletti. Ammazzato a colpi di pistola, mentre se ne stava tranquillo per conto suo, in attesa probabilmente di una giovane prostituta con cui aveva un appuntamento. Fin dall’inizio, a caratterizzare questo caso è stata la mancanza totale di un movente. Per quanto la Squadra mobile abbia cercato, non si è trovato nè un sospetto nè una pista che potesse rimandare all’origine del delitto. La vittima era un bravo ragazzo che non aveva un nemico al mondo, niente legami con personaggi legati alla malavita, solo lavoro. Poi c’era stata la svolta. L’inchiesta della Polizia, coordinata dal sostituto procuratore Paolo Gengarelli, si era incrociata, fino a diventare un’unico fascicolo, con quella dei carabinieri che stavano indagando sulla sparatoria di Sant’Ermete. Dove un albanese aveva sparato in un appartamento, rischiando di ammazzare i vicini. In casa con lui non c’era nessuno, e quando era scappato dopo i colpi, qualcuno era riuscito a prendere il numero di targa del suv su cui si era allontanato. E proprio quella macchina con a bordo due cittadini albanesi, era stata fermata poche ore dopo l’omicidio di Niang. All’interno dell’auto era stata trovata una pistola, la stessa, avevano confermato gli esami balistici, che aveva sparato a Sant’Ermete. E un suv nero era stato visto allontanarsi anche dal luogo del delitto.

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I due albanesi, difesi dagli avvocati Tiziana Casali e Massimo Melillo, erano finiti dritti in carcere, e poco dopo era arrivato loro anche l’avviso di garanzia per il delitto del senegalese. L’attenzione degli inquirenti però è sempre rimasta puntata sul più grande, Genard Dulaj, 28 anni, un ‘personaggio’ di lungo corso, nonostante la sua giovane età. Era finito dritto nella maxi inchiesta sul giro di droga al Coconuts, già condannato era tornato libero come l’aria. E sarebbe proprio lui l’autore delle ‘confidenze’. La ‘gola profonda’ in questione sarebbe invece un marocchino, anche lui in cella per omicidio, che l’albanese (ora rinchiuso nel carcere di Forlì) avrebbe incrociato quando si trovava ancora detenuto ai ‘Casetti’. A sentire il magrebino, l’altro gli avrebbe fornito due versioni dei fatti. Una in cui conferma di essere coinvolto nel delitto, l’altra in cui tira in ballo invece anche il connazionale, Atmir Mehmetllanaj. E’ stato già sentito due volte dalla Polizia e una dal magistrato, e ora quest’ultimo ha disposto un incidente probatorio. Il marocchino, il quale potrebbe pensare di ottenere qualche beneficio raccontando fandonie su un omicidio ancora irrisolto, dovrà ripetere la sua storia davanti agli albanesi. E si prospetta un ‘confronto’ a dir poco interessante.