Omicidio di Rimini, il killer del cuoco senegalese: "Ho ucciso in preda alla cocaina"

Makha Niang, 26 anni è stato ammazzato a colpi di pistola il 27 aprile del 2018 su una panchina di via Coletti. La confessione allo psichiatra

Genard Llanaj, l’albanese arrestato per l’omicidio

Genard Llanaj, l’albanese arrestato per l’omicidio

Rimini, 20 maggio 2019 - Allucinazioni dovute alla cocaina. Lo dice l’assassino e ora lo conferma lo psichiatra che l’ha esaminato per conto del giudice. Al quale Genard Llanaj, albanese, ha confessato di avere ammazzato Makha Niang, 26 anni, cuoco senegalese, ucciso a colpi di pistola il 27 aprile del 2018 su una panchina di via Coletti. Era lì per caso, e per caso, secondo l’omicida, divenne un bersaglio umano perchè lui soffriva di allucinazioni e lo aveva visto come un nemico.

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Llabaj  ha raccontato al perito che fa uso di coca da più di otto anni e da tempo ha cominciato a soffrire di allucinazioni, sentendosi ‘circondato’. Quando suo zio era morto, era scappato dall’Albania con una pistola in tasca. Ma anche qui vedeva nemici dappertutto. Per questo due settimane prima del delitto, aveva sparato all’interno di quell’appartamento di Sant’Ermete pur essendo solo in casa. E la stessa cosa era accaduta la notte dell’omicidio, quando aveva visto quel ragazzo senegalese seduto su una panchina.

Un giovane immigrato che non aveva un nemico al mondo, e che era lì perchè sperava di incontrare una giovane prostituta che frequentava ogni tanto. Llanaj era in giro con la macchina in preda ai suoi deliri, così quando l’aveva visto la sua mente l’aveva trasformato subito in uno dei suoi persecutori, e aveva fatto fuoco. Questo è quello che sostiene l’albanese, e sembrerebbe confermarlo anche la perizia dello psichiatra. Il quale conclude che Llnaj presenta «un disturbo indotto da sostanza/farmaco cocaina, caratterizzato da delirio di persecuzione e di riferimento con allucinazioni, attualmente in trattamento specifico con psicofarmaci con compenso parziale della sintomatologia psicotica». Secondo l’esperto «tale disturbo psicopatologico è da correlare all’abuso cronico di cocaina che determina una alterazione del funzionamento del sistema dopaminergico cerebrale...».

Ma il punto cruciale è quando sottolinea come «al momento dei fatti per i quali è imputato, Llanaj Genard presentava una capacità di intendere e di volere scemata per il disturbo psicotico indotto dalla sostanza», anche se aggiunge che è in grado di partecipare al processo. Questo non toglie, secondo il perito, che «Llanaj presenta un alto grado di delinquere e di pericolosità sociale, considerata l’alta possibilità di ricadute in relazione alla psicopatologia presente, parzialmente compensata dal trattamento in corso». Una condizione, la sua, che ai fini della condanna potrebbe fare la differenza. Si saprà il 30 maggio, giorno fissato per l’udienza davanti al giudice.

Per il  pubblico ministero, Paolo Gengarelli, le cose stanno diversamente. Si era opposto alla perizia psichiatrica che era stata presentata dal difensore dell’albanese, l’avvocato Tiziana Casali, giudicando Llanaj un assassino a sangue freddo. Per l’accusa aveva sparato a un bersaglio a caso: Niang era morto solo perchè si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato, e forse anche perchè era nero. Quella notte l’albanese era un predatore attraversato da un delirio di onnipotenza e che aveva una pistola in mano. Tanto è un negro che è morto...» aveva confidato Lalanaj a un compagno di cella subito dopo l’arresto.

Quello che è certo è che fin dall’inizio a caratterizzare questo caso era stata una totale mancanza di movente. Per quanto gli investigatori avessero scavato, quel ragazzo senegalese trovato morto con due fori di proiettile, aveva una vita senza misteri. «Una brava persona», era stato il coro unanime di amici e parenti. Un immigrato pieno di buona volontà, l’unica distrazione che si permetteva erano quegli incontri sporadici con la giovane prostituta, a cui dava appuntamento quando gli avanzavano un po’ di soldi e si sentiva troppo solo.