
Lodovico Balducci
Lodovico Balducci è nato a Rimini 81 anni fa, ma da oltre mezzo secolo vive negli Stati Uniti. Eppure, ogni volta che parla di sé, la voce tradisce una tenerezza tutta romagnola. "Sono cresciuto tra il Liceo Giulio Cesare e l’asilo svizzero. Rimini mi ha dato tutto ciò che conta: i libri, le domande, e il desiderio di capire l’animo umano", racconta.
Oggi Balducci è stato riconosciuto ufficialmente tra i “Giants of cancer care”, i giganti della cura del cancro, nella cerimonia organizzata da OncLive e celebrata a Chicago il 29 maggio scorso, durante il congresso annuale dell’American Society of Clinical Oncology. A conferirgli il prestigioso titolo è stata la sua opera pionieristica nell’Oncologia Geriatrica, un campo che fino a pochi decenni fa non esisteva. "Non ho scoperto nessuna medicina miracolosa – precisa con umiltà – ma sono stato tra i primi a capire che il cancro nell’anziano ha caratteristiche sue, e che non si può curare un uomo di ottant’anni come se ne avesse cinquanta".
Chi lo conosce sa che Balducci non è solo un medico brillante, ma anche un uomo profondo, capace di unire scienza e spiritualità. A Rimini lo si ricorda come il figlio di Carlo Alberto Balducci, stimato preside e professore (tra i suoi allievi anche Federico Fellini e Antonio Paolucci), e di Fanny Beltrami, insegnante del ginnasio. Una famiglia intellettuale che ha lasciato un segno nella città. E lui, figlio della cultura classica riminese, nel 2002 ricevette il Sigismondo d’Oro, massimo riconoscimento cittadino. "Rimini è il mio orizzonte affettivo", dice. "È la città dove ho imparato che pensare e credere non sono opposti, ma due facce dello stesso bisogno umano".
Nel 1972 partì per l’America, inizialmente per fuggire. "Odiavo l’Italia, la mia famiglia, persino la Chiesa", ha confessato. "Poi ho capito che il problema ero io". Negli Stati Uniti ha trovato una seconda patria, una nuova visione e soprattutto l’amore: Claudia. "Il nostro matrimonio è un sacramento. Un segno tangibile della presenza di Dio. Senza di lei non ce l’avrei fatta", come ha confessato a Salvatore Barbieri in un’intervista al Corriere di Romagna.
Balducci non è un personaggio da curriculum: è un’anima complessa. Dopo il pensionamento nel 2018, ha riscoperto la sua passione per la letteratura. Ha pubblicato raccolte poetiche, tra cui “Chiaroscuro” con Aletti editore. "La poesia – dice – permette di raccontare la verità senza imbrigliarla nella logica. L’autobiografia più autentica è quella scritta in versi". E nella sua poesia c’è spazio per tutto: per Dio, per il dubbio, per il dolore. "La mia fede è agonica, nel senso greco del termine: combattiva. Ho abbandonato Dio per anni, poi ci siamo ritrovati. Non cerco risposte, mi basta aggrapparmi a quel salvagente quando la tempesta arriva".
Ha vissuto da medico le stagioni più difficili, compresa la pandemia, che definisce "una tragedia medica e politica". Ha scritto perfino una “Ode a Donald Trump”, piena di ironia e sdegno, ma così esplicita da essere respinta da tutte le riviste americane. "Ma sono fiero di averla scritta". Oggi, nonostante gli onori internazionali, la sua voce si fa più dolce parlando della sua terra. "A Rimini ho ancora amici, parenti, ricordi. Quando mi hanno chiesto chi potesse essere interessato al premio, ho pensato subito al Carlino. Perché, in fondo, io resto riminese. Sempre".