Rimini, 7 febbraio 2025 – Quasi sempre si rivela l’asso della manica che consente agli investigatori di risolvere i gialli più complicati. Nel caso dell’omicidio di Pierina Paganelli (uccisa a Rimini il 3 ottobre del 2023), la ricerca di tracce di Dna, determinanti per dare un volto e un nome all’assassino, è stata resa particolarmente difficile dalla muffa. Muffa che, stando a quanto emerso, ha compromesso alcuni dei 34 reperti provenienti dalla scena del crimine di via del Ciclamino.

Il dato è emerso ieri, al termine dell’udienza sull’incidente probatorio, con i consulenti che, all’uscita dal tribunale, hanno evidenziato il cattivo stato di conservazione dei vestiti di Pierina. “Se c’era del Dna sugli indumenti, non lo sapremo mai, perché la muffa è andata a distruggerlo” ha sottolineato il criminalista Davide Barzan, che assiste la nuora Manuela Bianchi. “Gli abiti di Pierina erano infatti impregnati di un liquido che ha portato, appunto, all’emersione della muffa”. Un deterioramento lento ma implacabile, che sarebbe imputabile “ad un malfunzionamento dell’essiccatore in uso al gabinetto centrale di Bologna”, ha precisato Barzan. “Le muffe - ha aggiunto Marco Lunedei, avvocato insieme a Monica Lunedei dei figli della vittima - hanno danneggiato le tracce biologiche al punto tale che non è stato possibile estrapolare le tracce di Dna”.
Intanto gli accertamenti genetici, affidati dal gip di Rimini Vinicio Cantarini al super consulente, il genetista Emiliano Giardina, hanno fissato alcuni punti fermi e spalancato nuovi potenziali scenari. Anzitutto, è stato stabilito che non vi è nessuna corrispondenza tra il Dna di ’maschio 2’ e ’maschio 3’ – profili genetici isolati sulla gonna di Pierina e su un’impronta digitale sulla parete del garage – e Louis Dassilva, unico indagato per l’omicidio commesso il 3 ottobre del 2023. Su proposta dei legali di Manuela Bianchi (la nuora della vittima, ex amante di Louis), la Procura ha chiesto una proroga di 30 giorni per un supplemento di perizia su nuovi reperti. Tra questi, due mazzi di chiavi - con annessi telecomandi di ingresso del garage - ritrovati accanto al cadavere. Non si esclude che la Paganelli avesse in mano almeno uno dei due mazzi quando il suo assalitore si è parato davanti a lei: forse potrebbe averlo utilizzato per difendersi e in quel caso la superficie metallica delle chiavi (come pure quella in plastica del telecomando) potrebbe aver conservato tracce biologiche del killer. “E’ un’ipotesi che andremo ad esplorare” ha detto il professor Giardina.
“Riteniamo che la richiesta di effettuare analisi approfondite sulle chiavi della vittima sia di fondamentale importanza” ha puntualizzato Barzan. “Pierina - ha aggiunto l’avvocato Marco Lunedei - aveva delle ferite da difesa attiva sul palmo delle mani. Questo vuol dire che nel momento in cui è stata accoltellata non impugnava le chiavi, ma nulla può escludere che in una prima fase le avesse in mano e che siano cadute entrando in contatto con l’assassino. Tuttavia non dobbiamo dimenticare che, nell’ipotesi della Procura, l’aggressore agisce con una protezione, e questo diminuisce le possibilità di rinvenire Dna”.