Publiphono Rimini chiude, si spegne la voce dei 'bambini smarriti'

Dal Dopoguerra il servizio di annunci al mare tra musica e pubblicità. Linus: ha anticipato YouTube

Per quest'estate la radio della spiaggia resterà muta

Per quest'estate la radio della spiaggia resterà muta

Rimini, 9 giugno 2020 - Si chiamava ‘Voci della città’. Raccontava notizie e partite di calcio. Una decina di altoparlanti recuperati nei magazzini dei pompieri e un vecchio microfono di Radio Tripoli. Era il 1946 e Sergio Zavoli la sua voce. Settant’anni e 130mila bambini smarriti di Rimini annuncia la fine delle traopo, il Publiphono di smissioni. Colonna sonora delle estati e tormento delle sieste postprandiali sotto l’ombrellone, ammaina le antenne. Dicono sia colpa del Coronavirus, ma a ucciderlo è stata la pubblicità. Sparita dall’orizzonte. "Scippata" dai bagnini, denuncia Ugo De Donato, il figlio dell’inventore della radio più lunga d’Italia, chilometri di pali e sabbia, che ha scandito le ore della spiaggia e le epoche dell’Italietta balneare.

Aggiornamento "Una colletta per salvarla"

Due blocchi al giorno di musica e spot. Alle 11 del mattino, che per ogni bambino segnalava l’ora del bagno. Alle 17 in punto, quella della merenda. In mezzo migliaia di storie. Di bimbi persi e amori traditi. "Attenzione...", esordiva il messaggio, di solito in italiano e in tedesco. Da allora per eserciti di congiunti ansiosi è stato il "Chi l’ha visto?" delle vacanze. Il certificato di garanzia che la riviera romagnola, elevata a modello industriale, offrirà ai gentili ospiti della spiaggia.

Chi si smarriva, non per scelta o necessità, era sicuro prima o poi di essere ritrovato. Un’organizzazione militare si nascondeva dietro la voce calda dell’annunciatrice. Il bagnino che raccoglieva la denuncia di scomparsa, il centro direzionale, cervello e cuore della grande macchina, gli altoparlanti a forma di tromba. Il copione si esauriva nel lieto fine: mamme in lacrime di gioia e l’attestazione che, da Bellaria a Cattolica, non si perde neanche un bambino. Musica per le orecchie delle aziende di soggiorno.

Il Publiphono era stato sempre lì, un passo dietro le cabine. Più forte delle mareggiate e delle rivoluzioni canore. Un tormentone non era tale se non veniva mandato in onda. Milioni di adolescenti hanno scandito come il Padre nostro la pubblicità di pizzerie e discoteche. "In collina, a pochi passi dalla Riviera...". Chissà se De Donato padre e il giovane Zavoli l’avevano capito, in quel febbrile Dopoguerra. Se erano consapevoli di aver dato vita a quello che Linus, il direttore di Radio Deejay, ha consacrato come "l’antesignano di Youtube, il padre di tutti i social network".

Per loro, come per il popolo delle vacanze, è stato la radiolina accesa in spiaggia. Quella che gracchia ne L’ombrellone girato a Riccione da Dino Risi, che nel 1993 annuncia tra gli applausi la guarigione di Federico Fellini, o che avverte della presenza al largo di uno squalo. Quel rumore di sottofondo che non è più solo servizio ma il sapore della vacanza al mare. Fastidioso al punto da scatenare crociate abolizioniste, come la petizione lanciata alcune stagioni fa da un manipolo di riminesi capitani da un avvocato che chiedeva di mettere la sordina agli annunci pubblicitari. Battaglia che marchiò a fuoco i suoi promotori, prontamente accusati di snobismo. Vinse il Publiphono, ma fu il segnale della burrasca che si stava per abbattere sull’impero fondato dal Berlusconi della sabbia. "Non sarà la fine ma solo un anno di pausa", promette Ugo De Donato un attimo prima di bussare alle porte del Comune e dei bagnini. L’idea è quella di una colletta per mantenere il servizio. "Siamo un pezzo della storia di Rimini", dice. Merita ascolto. A nome di migliaia di bimbi smarriti che indossavano un costumino rosso.