CARLO CAVRIANI
Cronaca

Quando il sogno si fa storia

Ventotto anni dopo, adesso tocca a loro. Non più Scarone e Wylie, né la voce roca degli altoparlanti del Flaminio...

Ventotto anni dopo, adesso tocca a loro. Non più Scarone e Wylie, né la voce roca degli altoparlanti del Flaminio che annunciava Chandler in campo. Oggi è Camara che schiaccia come un destino già scritto, è Robinson che danza tra le maglie avversarie come se il parquet gli appartenesse da sempre. È la Rimini che sogna e stavolta, senza vergogna, sogna in grande.

Rimini è in finale. Lo scriviamo e lo rileggiamo, per accertarci che sia vero. Ha domato Forlì, rivale storica, e ora si affaccia sul palcoscenico meraviglioso della A1. Non ci arriva da imbucata, ma con tutti gli onori del caso. L’ha fatto col gioco, certo, ma anche con la fame. Quella fame che ti fa tuffare su ogni pallone vagante, che ti fa stringere i denti quando il fiato manca e la mente trema.

Dell’Agnello, regista silenzioso di una sinfonia rumorosa, ha trovato oro da ogni giocatore. Tomassini, Masciadri, Simioni, solo per citarne alcuni: gente capace di riscrivere la storia. È il collettivo ad aver costruito la strada fino alla sfida con Cantù. Non una corsa solitaria, ma un pellegrinaggio condiviso.

L’entusiasmo ha un nome e un luogo: Flaminio. Che adesso aspetta la finalissima come fosse un ritorno a casa, come un debito contratto con il tempo. E in fondo lo è. Perché Rimini è una città che il basket non l’ha mai dimenticato, anche quando il palasport sembrava troppo grande per i sogni troppo piccoli. Ora che quei sogni esplodono, ogni centimetro del parquet pesa più di una finale scudetto.

Cantù è avversario vero, e nessuno lo nega. Ma qui non si parte per sopravvivere. Si parte per conquistare. Lo sa Dell’Agnello, lo sanno i suoi, lo sente ogni tifoso che da bambino s’era sentito raccontare del tiro da metà campo di Niccolai. Ora tocca a loro tramandare un altro racconto. A Rimini da domenica non si gioca più solo per vincere. Si gioca per restare nella memoria. E certe volte, la memoria vale più di un trofeo.