
Pupi Avati a ruota libera: "Meloni e Schlein parlino del futuro del cinema: serve più sostegno ai film italiani"
Ha da poco ricevuto il David di Donatello alla carriera. E ieri Pupi Avati era a Rimini per la cerimonia di premiazione della settima edizione de La settima arte, la festa del cinema organizzata da Confindustria e dall’università, di cui è presidente di giuria. Avati, come ha visto cambiare il mondo del cinema?
"Drasticamente. Negli anni ‘60 nasceva il cinema d’autore sul modello francese, era un’alternativa ai classici generi. Noi ereditammo questa ’provocazione’ provando ad imporla, creando però un disamore nel pubblico che ancora oggi paghiamo. Il cinema d’autore funziona se dietro alla camera ci sono nomi come Fellini, ma quando invece ci sono sconosciuti le sale si svuotano. In principio eravamo fieri di questo in una sorta di ingenuità ideologica: pensavamo di sostituire il cinema popolare. Da allora i registi più importanti in Italia tendono a fare un certo cinema, più personale, diventando loro stessi i generi".
Da giovane lei restò folgorato da Otto e mezzo di Fellini. Cosa prova quando ritorna nella città del Maestro?
"Devo dire che qui a Rimini a volte le cose che funzionano vengono sabotate dagli stessi riminesi. Mi riferisco ad esempio alla Fondazione Fellini di cui sono stato presidente. Magari è stato anche per questo che il Maestro non ha girato mai neanche mezza scena a Rimini. Penso che oggi Fellini sia più presente che mai in città, più di quando era in vita".
Lei ha avuto modo di conoscere bene Fellini: quali sono i ricordi più forti legati a lui?
"Negli ultimi anni era una persona amareggiata, come tutti quelli che hanno avuto successo e da un po’ non riescono più a raggiungere le grandi platee. Quando qualcuno lo riconosceva citava sempre i suoi film del passato, ma nessuno dei titoli più recenti. Lui sentiva di valere solo per ciò che era stato e non per il presente".
Anche a lei capita mai di sentirsi così?
"È evidente che certi miei film sono ricordati più di altri. Alcuni film che ho fatto non li considero più neanche io. E viceversa".
Che responsabilità rappresenta per lei presiedere la giuria de La settima arte?
"Una responsabilità relativa, in realtà, visto che sono affiancato da Roy Menarini, una persona di grande competenza che modera certi eccessi e scelte che potrebbero risultare provocatorie. Dedicare un premio ai tecnici e alle persone che compaiono nei titoli di coda era doveroso".
Dal palco dei David di Donatello ha parlato delle criticità del cinema italiano, dicendo che sarebbe ora che Schlein facesse una telefonata sul tema alla premier Meloni. Di che cosa dovrebbero parlarle?
"Schlein dovrebbe chiamare anche il ministro Giorgetti, già che c’è. L’aspetto finanziario nel cinema è fondamentale: qualunque cosa immaginiamo sul grande schermo ha un costo e a questo va data linfa attraverso legislazioni che modifichino certe regole".
Che cosa consiglia a un giovane che vuole lavorare nel mondo del cinema?
"Essere seducenti tramite quello che si scrive, solo così si può valere nel mondo del cinema".
Federico Tommasini