"Salvato da un prete nella foresta del Congo"

Il medico riccionese Antonio Manzo racconta la sua esperienza nel paese africano. "La morte dell’ambasciatore mi ha sconvolto"

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Un pugno dritto nello stomaco. E’ quello che ha provato lunedì il chirurgo Antonio Manzo nell’apprendere che l’ambasciatore Luca Attanasio e il carabiniere della scorta Vittorio Iacovacci, erano stati uccisi durante un’imboscata in Congo. Una reazione spontanea di dolore, amplificata anche dal ricordo di un paio di paurosi assalti subiti anni fa nello stesso Paese, dov’era andato in missione con altre persone per rimettere in sesto un vecchio ospedale ed effettuare alcuni interventi chirurgici. Due situazioni pericolose, scampate l’una grazie alla mediazione di un sacerdote, l’altra per la scaltrezza del guidatore del mezzo sul quale si trovava a bordo.

Anche lei con i suoi amici ha rischiato la vita in Congo?

"Siamo stati oggetto di pericolose mire un paio di volte, la prima è accaduto a Kinshasa. Eravamo stati dall’ambasciatore italiano, che tra l’altro ci aveva messo in guardia, dicendoci che potevamo incontrare persone non amanti dei bianchi, in relazione allo storico retaggio della dominazione dei belgi che li avevano sfruttati e maltrattati". Quindi cos’è successo?

"Usciti dall’Ambasciata uno di noi ha scattato una foto a due ragazze del posto, ma subito dopo è spuntato fuori un gruppo di persone che ci ha accerchiato e ha cominciato a sbattere le mani contro il pulmino per entrare. Ci hanno anche minacciato di qualcosa di peggio. Con una manovra repentina dell’autista siamo riusciti a scappare, lasciando in Ambasciata due persone del gruppo, recuperate in un secondo momento".

La seconda aggressione è stata più drammatica?

"E’ successo sempre in quei giorni, ma di sera, in una foresta. Eravamo di ritorno dall’ospedale, molto lontano, malmesso e abbandonato, quando nel passare attraverso un villaggio di capanne hanno cominciato a tirarci bastoni e pietre. Probabilmente erano al corrente del nostro passaggio, per fortuna con noi c’era padre Marcel, prete congolese, che ha un po’ sedato gli animi".

Eravate in tanti?

"In Congo siamo andati in cinque, io, mio figlio Luca, Cinzia Bauzone di Riccione e due medici di Bologna. Abbiamo sempre viaggiato insieme, anche quella sera".

Che poteva essere fatale? "Credo che quella volta abbiamo avuto una grande fortuna. Qualcuno ci ha assistito dall’alto, perché eravamo bianchi, quindi nel mirino. Considerata la situazione di pericolo, lo stesso ambasciatore era rimasto stupito del nostro viaggio, ma noi siamo andati molto incoscientemente, nessuno ci aveva messo in guardia. Solo dopo ci siamo resi conto del rischio che si correva".

La collaborazione con il Congo è finita lì?

"Per un po’ di tempo abbiamo mantenuto rapporti indiretti, ma alla fine siamo stati costretti a rinunciare".

Nives Concolino