Shalabayeva, tra i sette a processo anche Maurizio Improta e Luca Armeni

L’attuale questore di Rimini e l’attuale capo della Squadra Mobile di Bologna dovranno rispondere di sequestro di persona e falso

Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Ablyazov espulsa dall’Italia, messa su un aereo e rispedita in Kazakistan

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Rimini, 16 novembre 2018 - Ci sono anche l’attuale questore di Rimini Maurizio Improta e il capo della Squadra Mobile di Bologna Luca Armeni tra i sette rinviati a giudizio per sequestro di persona e, a vario titolo, per più episodi di falso. A processarli sarà il tribunale di Perugia che procederà anche nei confronti di Renato Cortese che insieme a Improta, alla fine del maggio del 2013, dirigeva la squadra mobile (il primo) e l’ufficio immigrazione della questura di Roma (il secondo) in quei giorni impegnati nell’espulsione di Alma Shalabayeva, moglie del dissidente kazako Muktar Ablyazov, e della loro figlia Alua. Un atto illegittimo secondo la procura e il gup di Perugia che oggi ha disposto i sette rinvii a giudizio.

Provvedimento che ha riguardato oltre a Cortese e Improta, ora questori a Palermo e Rimini, il giudice di pace Stefania Lavore che firmò la convalida del trattenimento della donna e della figlia, e quattro poliziotti, Luca Armeni (ora capo della Mobile di Bologna) e Francesco Stampacchia, della Mobile, Vincenzo Tramma e Stefano Leoni, dell’Immigrazione. Prosciolta invece “perché il fatto non costituisce reato” la loro collega Laura Scipioni. Prosciolti anche i tre funzionari dell’ambasciata del Kazakistan ai quali il gup ha riconosciuto l’immunità diplomatica: l’allora ambasciatore Andrian Yelemessov, il primo segretario Nurlan Khassen e l’addetto consolare Yerzhan Yessirkepov. Secondo il loro difensore, l’avvocato Gaetano Scalise, questo dimostra che «da parte dell’ambasciata non c’è stata alcuna ingerenza». Secondo il legale di Shalabayeva, l’avvocato Astolfo di Amato, l’inchiesta non ha comunque ancora sciolto tutti i dubbi. «Ora ci attendiamo di sapere dal processo - ha detto - se e chi ha dato l’ordine del sequestro».

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«Quelle ore davvero terribili» le ha definite con lui al telefono la donna che nel dicembre del 2013 è tornata in Italia con la figlia e vive ora a Roma mentre il marito, libero, è in Francia. La vicenda sarà ricostruita nel dibattimento, al via il 24 settembre 2019. Nella richiesta di rinvio a giudizio i pm hanno parlato di una lunga sequela di omissioni e falsi che avrebbero esposto ai rischi Shalabayeva. Anche la Cassazione nel luglio del 2014 aveva bollato l’operazione come viziata da «manifesta illegittimità». Quando il caso emerse sfiorò il ministero dell’Interno guidato allora da Angelino Alfano e costò il posto di capo di Gabinetto del Viminale al prefetto Giuseppe Procaccini. Cortese, Improta e gli altri indagati hanno sempre rivendicato la correttezza del loro operato sostenendo che eventuali errori sarebbero stati determinati dal comportamento della Shalabayeva che nelle fasi iniziali dell’operazione avrebbe tenuto nascosta la sua identità.