
"Ciò che sappiamo del patrimonio culturale di Spadò è come un iceberg di cui vediamo soltanto la punta, un patrimonio culturale che davvero meriterebbe un museo". Così Marco Travaglini, biografo dell’artista, apre Alberto Spadolini. Arte, amori e spionaggio nella Parigi degli anni ‘30, la mostra allestita fino a stasera al Fellini Museum.
Esposte le fotografie in monocromo che ritraggono in tutta la sua bellezza l’artista poliedrico e grande amico, fra gli altri, di Gabriele D’Annunzio. Ma le celebrazioni per Spadò, a circa 50 anni dalla sua morte, continueranno al Fulgor – anche in aprile – quando verranno proiettati almeno due film sulla vita dell’amante di Josephine Baker e della contessa Yvette de Marguerite, con cui l’artista si accompagnò anche "nelle strade di Rimini a bordo di macchine avveniristiche", racconta il nipote, Mario Spadellini. Proprio a Riccione nella casa di un parente di Spadò, in uno scatolone, circa una decina di anni fa, furono infatti scoperte le tracce di un patrimonio inestimabile che l’artista si vide trafugato a Parigi.
Spadolini, poi, tradotto da soggetto in oggetto artistico, è come un caleidoscopio in cui sfrecciano abilità professionali oltre il normale: il teatro, la danza, la pittura, l’architettura, la musica, il cinema. E c’è il camaleontismo di cui è dotato e con cui riesce celando a tutti una fitta attività di spionaggio, svolta in chiave anti nazista. Spia munita di una straordinaria licenza di danzare, Spadolini partirà per viaggi misteriosi dalla Parigi del Novecento verso la Svezia, la Russia, fino a mettere piede pare nell’Indocina francese. Una fenomenologia eclettica la sua, che fa della vita un’opera d’arte separandolo nettamente e sentimentalmente dal Decadentismo: "Spadolini meravigliò il Vate con le sue qualità di uomo romantico e al contempo futurista" dice Angelo Chieretti co-autore di ‘Spadò’. Attraverso la danza "con un semplice lenzuolo addosso" Spadò calca il palco dei grandi teatri d’Oltralpe. Lavora al Vittoriale. Diventa allievo di Giorgio De Chirico. E in omaggio a El Greco dipingerà ‘Satiricon’ inspirandosi a Federico Fellini. E Paul Valery commenterà la visione di Spadò come "mitologica, mistica e faunistica".
La casa sui Campi Elisi e la fine, nell’ultima dimora dell’umile quartiere Latino di Parigi, che l’artista scelse perché "amava vivere nell’ombra della povertà" traendone linfa artistica che gli consentì di divenire il grande Spadò.
Andrea G. Cammarata