Stefano Alocchi morto dopo la caduta sul lavoro, l’agonia è finita

Addio al fattorino rimasto tetraplegico dopo essere precipitato dalle scale di un pub: per i titolari del locale diventa omicidio colposo

Il fattorino era caduto dalla scala che portava nella cantina di un pub (Foto d'archivio)

Il fattorino era caduto dalla scala che portava nella cantina di un pub (Foto d'archivio)

Rimini, 17 settembre 2020 - L’accusa non sarà più quella di lesioni gravissime, ma di omicidio colposo. Dopo cinque anni di agonia, Stefano Alocchi 44 anni è morto nella Rsa di Forlimpopoli dove era ricoverato. Era caduto dalle scale di un pub di Torre Pedrera mentre faceva una consegna, ed era rimasto tetraplegico. Condannato a una non vita, negli ultimi tempi riusciva però ad aprire e a chiudere gli occhi, comunicando in questo modo con la madre e il fratello. Alla sbarra ci sono invece padre e figlio, gestori del locale. Ieri c’è stata la penultima udienza del processo che si chiuderà il 10 febbraio 2021. L’avvocato della famiglia della vittima, Giuseppe Mazzini, ha già chiesto un risarcimento di 14 milioni di euro. Fino ad oggi, nessuno ha ancora visto un euro, ma Mazzini, oltre ad annunciare una causa civile, si dice anche deciso a chiamare in causa sotto il profilo penale i proprietari dell’immobile, e chiederà al pubblico ministero che si proceda anche per loro per omicidio colposo. "I tecnici l’hanno confermato – sostiene categorico – quella scala non era a norma ed era pericolosa".

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«Un calvario infinito e un dolore che spezza il cuore". Fabio Alocchi, era di due anni più giovane di suo fratello Stefano e in questi cinque anni d’inferno, non l’ha mai lasciato un giorno da solo. "Stefano è morto il 10 marzo, cinque giorni prima l’ingresso alla Rsa era stata chiusa ai parenti per il Covid. Non credo sia stato un caso che Stefano sia morto subito dopo, quando non ha più visto nè me nè mia madre. Un dolore e un senso di colpa difficilissimi da affrontare". Negli ultimi tempi Stefano, pur ingabbiato in un corpo immobile, riusciva a muovere gli occhi.

"E’ così che ci parlavano. Restava molto grave, ma comunicava con noi, rispondeva alle nostre domande aprendo e chiudendo gli occhi. Era lì, presente, e in qualche modo ci confortava sapere che c’era. Quando non siamo più potuti entrare, ha sentito la nostra mancanza e sono sicuro che ha mollato. Mia madre è crollata e io non riesco ancora a guardare le sue fotografie. Non eravamo soltanto fratelli, ma anche grandi amici". Fabio vive a Forlimpopoli con la mamma, sono rimasti loro due, dopo la morte del padre, avvenuta cinque anni prima di quella di Stefano. "L’unico desiderio di mia madre era quella di andarsene prima di lui, di non vederlo morire".

Da quel 24 agosto del 2015, la loro vita è stata scandita da quella di Stefano. Dalle sue necessità, terapie, tentativi di riabilitazione e da un’assistenza 24 ore su 24. "Non l’abbiamo mai lasciato solo, e negli ultimi tempi ci eravamo un po’ sollevati perchè riuscivamo a ‘parlare’ con lui. Ci capiva e ci rispondeva, anche se solo con gli occhi. Prima era lì, anche se la situazione era drammatica, lui era ancora lì. Se n’è andato appena siamo stati costretti ad allontanarci da lui. E’ impossibile capire cosa si prova di fronte a una cosa simile". Ora che Stefano è morto, Fabio vuole solo mettere una pietra sopra a tutto. "Non è possibile che la giustizia sia tanto lenta, sono passati cinque anni, quanto dobbiamo aspettare ancora? Abbiamo avuto tante spese, ma non si è visto nemmeno un euro.

Il processo penale è alle ultime battute. Ieri è stata la volta dei tecnici, mentre l’avvocato Mazzini ha comunicato il decesso del suo cliente. Il che comporterà un cambio di imputazione per i due alla sbarra. Padre e figlio, difesi da Luca Brugioni e Stefania Sabino, dovevano rispondere di lesioni gravissime, adesso sarà omicidio colposo. Quando è caduto, Alocchi stava consegnando dei generi alimentari in un pub di Torre Pedrera, carico di roba stava scendendo la scala che portava in cantina, nel seminterrato. I medici si erano subito resi conto della gravità delle sue condizioni: un devastante trauma cranico che lo condannava a essere quasi un vegetale. La Medicina del lavoro aveva concluso che la scala era messa decisamente male, i gradini erano uno diverso dall’altro e mancava anche il corrimano: il corriere non avrebbe dovuto portare la merce fin laggiù. Ma c’era andato, spezzando la sua vita nella frazione di un secondo.