Stupri di Miramare, cinque anni dopo l’orrore "Violenza mai vista: furono giorni terribili"

Baglioni, ex vice dirigente della Mobile, ricorda gli abusi del branco nel 2017: "Non scorderò lo sguardo della turista polacca in ospedale"

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"In quarant’anni di carriera nella polizia non avevo mai visto una violenza del genere". Era la notte del 25 agosto 2017. Una notte che tutti i riminesi ricordano bene. Due donne, una turista polacca e una transessuale peruviana, furono violentate ripetutamente da una banda composta da quattro giovanissimi, di cui uno solo maggiorenne: l’allora 20enne congolese Guerlin Butungu. Degli ’stupri di Miramare’, questa la definizione coniata della stampa, se ne parlò in tutta Europa. Cinque anni dopo il ricordo è ancora indelebile, soprattutto per i poliziotti della Questura di Rimini che presero parte alle indagini, concluse con l’arresto dei quattro stupratori. In prima linea c’era anche Luciano Baglioni, all’epoca sostituto commissario e vice dirigente della squadra mobile, oggi in pensione, noto anche per le indagini sulla Uno Bianca.

Baglioni, cosa ricorda di quei giorni convulsi?

"Ricordo soprattutto il clima di tensione che si respirava in città. Fatti come quelli, avvenuti sulla spiaggia di Rimini in piena estate, avevano lasciato sotto choc non solo la Riviera, ma tutto il paese. I media ci stavano addosso, le telecamere stazionavano giorno e notte sotto la Questura. Come investigatori, sentivamo il peso di quell’enorme responsabilità ed eravamo costretti a lavorare sotto una fortissima pressione. I riminesi pretendevano giustamente che consegnassimo i colpevoli alla giustizia".

Come furono portate avanti le indagini?

"Attraverso un prezioso lavoro di squadra e il coinvolgimento, 24 ore su 24, di tutto il personale disponibile, dal questore Maurizio Improta, alla sovrintendente capo della squadra mobile Roberta Rizzo, dal dirigente della squadra mobile Massimo Sacco all’autrice dell’identikit di Butungu, l’assistente capo Elena Pagani. Da Roma arrivò a darci man forte anche la II divisione del servizio centrale operativo, guidata dal dirigente Alfredo Fabbrocini".

Quale fu la svolta?

"Avevamo passato al setaccio centinaia di ore di riprese delle telecamere di sorveglianza di Miramare. Finalmente riuscimmo a individuare un filmato in cui si vedeva il branco dirigersi a piedi verso la preda. Dopo che la stampa pubblicò i primi frame, i due fratelli marocchini di 15 e 17 anni decisero di costituirsi ai carabinieri di Vallefoglia. Ci fu poi un altro elemento decisivo".

Quale?

"La descrizione, dettagliattissima, dei quattro assalitori fornita da una delle vittime, la transessuale peruviana".

Come arrivaste al capobranco?

"L’arresto di Butungu fu il più complicato. Sapevamo chi era e dove abitava, eppure sembrava svanito nel nulla. Ma ua collega ebbe un’intuizione, capendo che avrebbe potuto tentare di raggiungere Torino in treno e da lì dirigersi all’estero con documenti falsi. Riuscimmo a intercettarlo appena in tempo. Credeva di essere ormai al sicuro, ma una volta a Rimini il suo treno fu fatto fermare e lui venne arrestato".

I fatti di Miramare sono rimasti impressi nella memoria, soprattutto per la loro brutalità.

"Il branco fu autore di una violenza inaudita e totalmente gratuita, che non si era mai vista nella nostra città. A Rimini c’erano già stati altri episodi di stupro, ma mai di tale gravità e con quella dinamica. Non dimenticherò mai il volto della turista polacca, quando ci recammo in pronto soccorso per raccogliere la sua deposizione, ma anche la disperazione negli occhi del suo fidanzato, che non aveva potuto far nulla per fermare i violentatori".

Lorenzo Muccioli