Stupro di Rimini, la trans li vuole in cella a costo della vita

Caccia ai quattro: tre magrebini e un centrafricano. La seconda vittima li ha identificati dalle foto segnaletiche

I quattro sono stati anche ripresi dalle telecamere

I quattro sono stati anche ripresi dalle telecamere

Rimini, 31 agosto 2017 - «Sono loro i miei aguzzini. Adesso li voglio vedere in carcere, a costo della mia vita». La trans peruviana li ha riconosciuti. Ha riconosciuto, tramite le foto che le sono state mostrate dalla polizia, i quattro del branco che l’ha aggredita e violentata nella notte tra venerdì e sabato a Miramare. Quello stesso branco un’ora prima aveva stuprato, in spiaggia, all’altezza del bagno 130, un’altra donna, una turista polacca di 26 anni, dopo aver massacrato di botte l’amico che era con lei.

«Voglio vederli in carcere e sono disposta ad aiutare la polizia a qualsiasi ora, mi interessa più della mia vita», ha aggiunto la sudamericana che sul corpo porta i segni di quella notte maledetta con graffi e lividi sulle braccia e sulle gambe.  La svolta alle indagini è arrivata dai frammenti di immagini catturate dalle numerose telecamere, private e pubbliche, che hanno immortalato il percorso dei quattro compiuto quella notte dalla spiaggia fino alla statale. E nelle immagini si vedono i volti dei quattro, uno più scuro, molto probabilmente subsahariano, e tre nordafricani, due olivastri e uno più chiaro, con un’età che varia dai 20 ai 30 anni. Non sembrano essere sbandati, ma molto probabilmente potrebbero essere pendolari, con una vita ’regolare’ al nord. Adesso resta il problema di dare un nome a quei volti. 

Un'identità che per gli investigatori può essere solo un «nome dattiloscopico», cioè ricavato dalle impronte digitali, quelle che non mentono anche di fronte a numerosi alias. Ci vorrà più tempo perché bisogna avere i riscontri con le impronte trovate. La Scientifica ne ha due sovrapposte, vanno pulite e immesse nella banca dati. Decisive potrebbero essere anche le tracce di Dna ritrovate sulle due vittime. Tutto è in mano agli specialisti di Roma. Così come potrebbero dare un’accelerata all’inchiesta le celle telefoniche che hanno agganciato molti cellulari presenti quella notte maledetta nella zona del doppio stupro. Ma non sempre ad un numero telefonico corrisponde il vero fruitore del cellulare. 

La caccia al branco non conosce sosta: troppa la brutalità mostrata dai quattro, una violenza che ha sconvolto anche gli investigatori più navigati. Così è raccapricciante il particolare che riguarda la giovane polacca. La ragazza, dopo essere stata violentata dai quattro, sembrava inerme, senza conoscenza. Il branco l’ha trascinata in mare e le ha gettato acqua in faccia per farla riprendere. Ma il gesto non era di pietà, ma finalizzato ad altro, di ancora più terribile. Quando la studentessa si è ripresa, i quattro, a turno, hanno ricominciato a violentarla. «I kill you», le hanno urlato nelle orecchie mentre la stupravano.

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Una lunghissima ora di terrore e di abusi, quella che ha distrutto, per sempre, la vita della giovane. E ieri è arrivato da Varsavia anche il pool di inquirenti polacchi con il sostituto procuratore, due poliziotti e un’interprete. In mattinata hanno incontrato gli inquirenti locali con il procuratore capo Paolo Giovagnoli al quale, tramite rogatoria internazionale, hanno chiesto di poter accedere agli atti. Hanno anche domandato di poter dar vita a un team congiunto per le indagini, ma la risposta è stata negativa.

Poi nel pomeriggio, inquirenti riminesi e quelli polacchi si sono recati in ospedale dalle due vittime per ascoltarli. Anche ai due studenti sono state mostrate le foto dei quattro. Quelle stesse immagini sono state visionate anche dalla coppia lombarda, aggredita il 12 agosto. Solo per miracolo la donna è sfuggita alla violenza.