Giovane annegò nel Marano, riaperta l’inchiesta

La Procura ha accolto il ricorso presentato dal padre di Vadim Piccione morto durante il weekend della Notte rosa del 2012

Vadim Piccione

Vadim Piccione

Rimini, 19 gennaio 2017 - Riaperto il caso di Vadim Piccione, il 22enne di Ravenna, morto nel Marano durante la Notte Rosa del 2012. Il pubblico ministero ha deciso di aprire un nuovo fascicolo, dopo che il consulente della famiglia ha consegnato un memoria in cui conclude che il ragazzo non può essere morto annegato. L’ipotesi di reato per ora è omicidio colposo, ma non ci sono comunque molte possibilità che si possa svelare il mistero della morte di Vadim.

Quei luglio, il ragazzo era arrivato in riviera insieme ad alcuni amici per festeggiare anche lui la Notte Rosa. Si erano divertiti, avevano bevuto parecchio e poi si erano persi di vista. O almeno, secondo le testimonianza, nessuno degli altri aveva più visto Vadim. Suo padre l’aveva cercato disperato un giorno e una notte, poi il suo corpo era affiorato dall’acqua del Rio Marano. Sul corpo non c’erano segni evidenti di violenza, aveva ancora il portafoglio e la catenina, e anche la rapina era stata esclusa.

A dare una risposta sulle cause della morte, avrebbe dovuto essere l’autopsia, ma era successo un disastro. Quando avevano portato il corpo all’obitorio, era stato risposto che non c’era posto e l’avevano rimandato al cimitero. Il corpo del ragazzo era rimasto così chiuso in un sacco con un caldo torrido. E quando erano andati a prenderlo, il cadavere era in condizioni devastanti. Fare l’autopsia in quelle condizioni era stato difficilissimo, di fatto i polmoni non c’erano più, e le conclusioni del medico legale erano state più deduttive che scientifiche, non essendo in condizioni di dare una risposta certa.

Gli amici arrivati con lui in riviera erano stati sentiti più volte, ma non era venuto fuori niente che potesse fare chiarezza sulle circostanze della morte. Si erano separati soltanto per poco, il tempo sufficiente per Vadim a ‘sparire’. Pur non escludendo nulla, strada facendo l’inchiesta si era orientata più su una tragica fatalità che su un gesto di violenza: il ragazzo aveva bevuto e probabilmente era caduto in acqua. Conclusioni che il padre di Vadim, Giuseppe, non aveva mai accettato. Secondo lui, nella morte di suo figlio c’era ancora qualcosa da scoprire, e si era battuto come un leone per cercare la verità.

Alla fine però, il fascicolo aperto dalla procura contro ignoti era stato archiviato, secondo gli inquirenti non c’era più nulla che si potesse scoprire. Giuseppe però ha continuato a battersi anche dopo che la giustizia aveva deciso di chiudere il caso. Adesso il consulente della famiglia ha depositato una memoria in procura e di conseguenza il pubblico ministero ha riaperto il fascicolo, dando il via libera al perito di parte per esaminare i vetrini con i tessuti che erano stati prelevati all’epoca.

Le speranze però di riuscire a svelare il mistero avendo a disposizione così pochi elementi sono veramente pochissime. Rispetto al 2012 non sembra infatti esserci niente di nuovo.

L'unico a pagare fino ad ora è stato l’operatore dell’obitorio che ha rimandato il cadavere al cimitero, provocando il disastro. L’uomo è stato condannato a sei mesi di carcere per omissione di atti d’ufficio.