"Vado in America a creare nuovi vaccini"

L’immunologo riminese Gorini arruolato dalla Università di Harvard: "Il lavoro fatto per Astrazeneca mi ha aperto tante porte"

Migration

Hanno cercato di convincerlo a correre per le comunali. Ma Giacomo Gorini, il giovane immunologo riminese che ha lavorato a Oxford sul vaccino di Astrazeneca, ha detto no perché ha di nuovo le valigie pronte. La settimana prossima Gorini tornerà negli Stati Uniti (dove ha già lavorato in passato, a Washington) per studiare e progettare nuove tecnologie per i vaccini all’università di Harvard. "Dopo essere stato a Cambridge e Oxford in Inghilterra, essere chiamato a lavorare ad Harvard, tra i più prestigiosi atenei americani, mi riempie di orgoglio", ammette Gorini.

Quale sarà il suo compito?

"Svilupperò metodi e tecnologie che consentiranno di mettere a punto nuovi vaccini in tempi rapidi. Oggi servono contro il Covid, domani ci saranno altri virus da combattere".

Un progetto partorito nei mesi in cui ha lavorato per il vaccino Astrazeneca?

"Sì, tutto è partito da quel periodo. Nei mesi successivi ho deciso di lasciare Oxford prima della fine del contratto. La cittadina mi andava stretta, volevo dedicarmi a nuovi progetti, tant’è che mi ero iscritto a un corso a Londra".

Com’è arrivata la chiamata da Harvard?

"Ho parlato del mio progetto a un noto ricercatore che insegna in America, vincitore del Nobel. E’ stato lui a segnalarmi poi a un professore di Harvard, che è stato suo allievo. Mi ha contattato e mi ha invitato ad andare a lavorare per loro. Sarò al Ragon Institute: è tra i principali centri di ricerca americani e lavora per l’università di Harvard, il Mit (il Massachusetts Institute of technology) e il policlinico universitario del Massachusetts".

Ancora una volta si trasferirà all’estero: per sua scelta o perché mancavano le alternative in Italia?

"Di proposte me ne sono arrivate tante, anche qui in Italia. Non nascondo che la pandemia e il lavoro a Oxford su Astrazeneca mi hanno cambiato la vita. L’offerta di Harvard è stata la più interessante: non ho avuto dubbi. Anche se ho dovuto attendere a lungo il visto per gli Usa".

A causa delle attuali restrizioni?

"Sì. Gli Stati Uniti concedono ancora i permessi col contagocce e ammettono l’ingresso solo di chi è considerato in questo momento essenziale per il tipo di lavoro che svolge. Occupandomi di tecnologie di vaccini, è stata riconosciuta la mia attività come necessaria per il Paese. Ma è stata una lunga trafila, e l’università di Harvard ha dovuto perorare la mia causa".

Manuel Spadazzi