Vigoressia, Martina Colombari: "No agli eccessi, serve equilibrio"

Il consiglio della show girl: si rischia la dipendenza

Martina Colombari in palestra (foto da Instagram)

Martina Colombari in palestra (foto da Instagram)

Rimini, 1 aprile 2019 - Si chiama vigoressia, la cosiddetta ‘anoressia inversa’ o anche dismorfofobia muscolare. E' un disturbo che impedisce di percepire la propria immagine per quello che è realmente. Un disturbo alimentare – identificato da Harrison Pope nel 1993, con i colleghi Katz e Hudson – legato alla ossessione per il controllo del proprio corpo, alla preoccupazione cronica di non essere abbastanza muscolosi. I soggetti maggiormente a rischio non sono tanto gli adolescenti, quanto i maschi nella fascia di età 25-35 anni (24%), seguiti dai 18-24 (21%). Tuttavia, l’illusione del controllo fisico colpisce anche gli adulti over 40 (16%), che si lasciano attrarre gradualmente da esercizi duri e alimentazione rigida, forse nella convinzione di poter riconquistare la propria giovinezza attraverso l’allenamento.

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Martina Colombari, lei è nota per avere molta cura del proprio corpo e per praticare costantemente fitness. Esiste però una vera e propria patologia, chiamata vigoressia, quando l’attività fisica diventa una autentica ossessione... «C’è una frase molto semplice: né troppo né troppo poco. Che sia in un rapporto d’amore, che sia l’attività fisica, bisogna sempre trovare la giusta via di mezzo. Questo è un fenomeno che conosco perché collaboro con una clinica specializzata e so che riguarda soprattutto gli uomini, i cosiddetti palestrati: quando la cura della forma diventa una vera ossessione spesso sfocia nell’anoressia. Ci sono molti uomini che soffrono di disturbi alimentari per queste cause, più di quanto accada alle donne. Gli uomini arrivano da percorsi di eccessivo allenamento. Io ho trovato nella pratica fisica costante la mia via all’anti aging che non significa avere meno rughe ma significa poter vivere in serenità la propria età. Come diceva Rita Levi Montalcini, ‘Non più giorni alla nostra vita, ma più vita ai nostri giorni’».

Con quale clinica collabora? «Si chiama Villa Miralago ed è un centro che cura i disturbi alimentari, la più grande in Italia e riconosciuta dalla Asl. Alla clinica arrivano uomini che dal semplice allenamento passano a qualcosa di ulteriore, assumono sostanze come anabolizzanti, e altre cose che sono devastanti per il nostro corpo. È una vera e propria malattia. Le ossessioni sono sempre sbagliate».

Si incontrano spesso persone che hanno cominciato a correre, per esempio, per mantenersi in forma, ma poi ne diventano quasi schiave: se un giorno non possono indossare le scarpette ne avvertono la mancanza come in una crisi di astinenza... «Attenzione a non confondere le situazioni. Per me si tratta di una sorta di disciplina interiore. La mia giornata inizia con i minuti di meditazione, poi prendo gli integratori perché purtroppo il cibo è sempre più povero, e anche l’attività fisica fa parte della mia giornata. Io cerco di fare sempre almeno un’ora ogni giorno di attività fisica. Non sto male quando non mi alleno, però sono più stanca, meno reattiva al lavoro, è come se quell’oretta di attività fisica accendesse la mia spina».

Può diventare una dipendenza? «Può succedere, certo, ma anche in questo caso bisogna risalire alla causa. Perché una ha bisogno di essere sempre iper-performante? Perché il manager di una grande azienda è soddisfatto delle sue dieci ore di lavoro e poi arriva a casa e non ha stimoli per fare l’amore con la moglie perché è già soddisfatto dell’adrenalina del lavoro? Se uno va a ricercare nell’attività fisica quella dipendenza significa che ci sono altre mancanze. È come tutte le altre dipendenze, come chi è schiavo dei giochi elettronici, dello sport, del cibo, dell’alcol, della droga. Tutto ciò che crea una dipendenza ci limita. La capacità sta proprio nel riuscire a reagire a questa dipendenza. I bisogni, le necessità compulsive, alla fine sono delle catene. Quelle che noi riconosciamo come zone di comfort che ci fanno stare bene invece ci stanno facendo ammalare. Bastano tre parole: accettarsi, accogliersi, amarsi. Uno non deve cercare la perfezione, ma dare il miglior se stesso. La ricerca della felicità è la ricerca della pace, fatta di tante cose: sport, affetti, lavoro. Ci vuole equilibrio. La vita è un dono, è gratuita, non è costata niente, e almeno bisogna trattarla con cura».