CARLO CAVRIANI
Cultura e spettacoli

Grand Hotel Calciomercato: Rimini capitale del pallone, è di nuovo un Amarcord

Trattative al via dal luogo iconico della Riviera: succede così dal 2020. E pensate che tutto iniziò nel 1952 con un principe e una vasca da bagno

Calciomercato al Grand Hotel di Rimini: si riconoscono i bolognesi Marco Di Vaio e Giovanni Sartori. Sotto, il principe Raimondo Lanza di Trabia (a destra), e Paolo Mazza, storico patron della Spal

Calciomercato al Grand Hotel di Rimini: si riconoscono i bolognesi Marco Di Vaio e Giovanni Sartori. Sotto, il principe Raimondo Lanza di Trabia (a destra), e Paolo Mazza, storico patron della Spal

Rimini, 3 luglio 2025 – Dal 2020 il Calciomercato italiano ha scelto un palcoscenico iconico per dare il via alla sua sessione estiva: il Grand Hotel di Rimini. È qui, tra le mura liberty che profumano ancora dei sogni felliniani di Amarcord, che dirigenti, procuratori e protagonisti si ritrovano ogni anno per inaugurare il periodo più atteso dai tifosi. Quest’anno, danze aperte il primo di luglio: un rito in uno dei luoghi più simbolici della Riviera e dell’immaginario italiano. Non è soltanto una sessione di scambi e trattative, ma un rito di rinascita che, come Fellini raccontava della sua infanzia, mescola realtà e fantasia, affari e sussurri, contratti e colpi di teatro. Almeno per un giorno il Grand Hotel, monumento nazionale di sogni e di scandali, torna palcoscenico di incontri e accordi. Come Titta Biondi in Amarcord, anche noi restiamo a spiare tra le siepi di un giardino sospeso tra passato e futuro, in attesa del colpo di scena, di quel nome sussurrato che cambierà la stagione, di quell’affare impossibile che diventa possibile solo qui, sotto le luci del Grand Hotel. Perché in fondo, il Calciomercato è questo: un sogno collettivo che resiste al tempo, ai conti in rosso, alle pandemie, e che ogni anno, da Rimini in poi, si reinventa come un film di Fellini. Irregolare, imprevedibile, meravigliosamente italiano.

Tutto comincia in vasca da bagno, come nelle storie di Fellini, ma qui non c’è la Gradisca: c’è un principe, Raimondo Lanza di Trabia, baffetti nerissimi e sguardo d’argento. Siamo a Milano, estate del ’52, quando il calcio italiano è povero di bilanci ma ricco di storie da osteria. Lo scenario è l’Hotel Gallia, appena fuori dalla stazione centrale: marmi, velluti e corridoi che sanno di sigaro e dopobarba.

Il principe Raimondo, presidente del Palermo, si cala nella vasca di una suite. Nudo come mamma l’ha fatto, riceve dirigenti e presidenti mentre sorseggia champagne e addenta crème caramel. Sembra un capriccio, è una strategia: spiazza, imbarazza e firma contratti a colpi di bollicine. In una di quelle stanze compra un mediano della Lazio, solo per farlo palleggiare nel giardino di casa. Lo regala a Olga Villi, attrice, moglie, regina di riviste patinate. È lui che si inventa il calciomercato. Ma senza WhatsApp, senza tweet, soprattutto senza eserciti di procuratori a battere cassa su ogni firma.

Tra i marmi del Gallia sfreccia anche Paolo Mazza, mente brillante di una Spal che oggi rischia di sparire in silenzio. Compra Astorri per 250 mila lire e lo rivende alla Juve per due milioni. Stessa sorte per Pandolfini: tre milioni alla Fiorentina, quindici di ritorno. Intorno, niente agenti: bastano un telefono, una valigetta di cuoio, e qualche brindisi a mezzanotte. C’è chi paga i giocatori coi ritagli di sigarette: Achille Lauro, “’O Comandante” di Napoli, consegna a Mazza un pezzo di un pacchetto di Turmac: "Domani vada in banca, 55 milioni". La banca pagò davvero. Italo Allodi, ancora imberbe, impara a tessere reti di contatti, Gipo Viani controlla che nessuno scappi con la cassa. E mentre qualche presidente si gioca la collezione di Tiepolo per strappare un fantasista alla concorrenza, come fece il conte Marini Dettini alla Roma, c’è pure l’affare Felix Banegas: la Triestina lo ordina come un pacco esotico. Deve arrivare il centravanti paraguayano del Mondiale ’50. Arriva il fratello: un bidone in carne ed ossa, sbarcato da un cargo con zero gol e qualche chilo di troppo.

Finché nel ’69 il Gallia, stremato da troppi tifosi accampati nei corridoi, spegne i condizionatori e arrotola i tappeti: "Basta contratti, basta imbrogli, basta notti insonni". E allora via, tutti all’Hilton di Milano, poi Hotel Leonardo Da Vinci, Ata Executive, Milanofiori, Starhotels Business Palace, Sheraton di Malpensa, Hilton Rome Airport di Fiumicino. Oggi c’è pure il Grand Hotel di Rimini, quello di Fellini, dal 2020 cornice di nuovi brindisi e finti segreti.

Solo che oggi, tra selfie e microfoni, c’è la giungla dei procuratori. All’inizio bastava un principe nudo in vasca e un presidente col portafoglio aperto. Oggi serve un plotone di avvocati, bonus alla firma, clausole e tweet di smentita. E il principe Raimondo? Due anni dopo aver acceso la miccia del mercato, nel ’54, cade da una suite romana. Modugno ascolta quella storia di frac e mistero e scrive Vecchio Frac: "Ha l’aspetto trasognato, malinconico ed assente…"

Oggi il Grand Hotel di Rimini diventa la nuova cattedrale di chi compra e vende promesse. Restano i corridoi, i tappeti, le camere con vista. Restano le chiacchiere, i sogni, le illusioni. E la voglia di crederci ancora, anche se di soldi ce ne sono sempre meno. E di principi nudi, nessuno più.