Villanova Marchesana, anziano raggirato e badante condannata

Circonvenzione d'incapace: la donna gli ha sottratto 50mila euro

Una badante con l'anziano, immagine d'archivio (Crocchioni)

Una badante con l'anziano, immagine d'archivio (Crocchioni)

Villanova Marchesana (Rovigo), 11 gennaio 2018 - Due anni e tre mesi di detenzione per «circonvenzione d’incapace». Questa è la condanna inflitta ieri dal giudice monocratico Nicoletta Stefanutti a S. G., 42 anni, di Villanova Marchesana. I fatti oggetto d’imputazione si sono svolti a Pontecchio. In sostanza la donna, tra il 2005 e il 2008, aveva instaurato un rapporto di fiducia e familiarità con un anziano presso il quale faceva da assistente domiciliare. Lui, che oggi ha 79 anni, si era fatto convincere a consegnarle la cifra complessiva di 50 mila euro che aveva prelevato dal proprio conto a più riprese.

Lei gli aveva assicurato la restituzione su semplice richiesta abusando della condizione di deficienza psichica dell’anziano. Invece i soldi non sono mai tornati indietro. Questa la ricostruzione dell’accusa, le indagini sono state coordinate dal sostituto procuratore Monica Bombana. Ieri, all’udienza di discussione, il pubblico ministero titolare dell’inchiesta è stato sostituito da un vice procuratore onorario. A difendere l’imputata c’era l’avvocato Michele Brusaferro, del foro di Rovigo. Il 79 enne si era costituito parte civile, in aula a sostenere le sue ragioni c’era l’avvocato Katiuscia Carravieri, anche lei del foro rodigino.

La pena detentiva supera i due anni e dunque non è sospesa e diventerà definitiva e da scontare se la sentenza non verrà impugnata in Appello. Il giudice ha anche stabilito che l’imputata deve pagare 30 mila euro di provvisionale, 500 euro di multa e 3 mila 500 euro di spese legali alla parte civile, più gli accessori di legge. Sarà poi il giudice civile a calcolare il definitivo risarcimento economico.

«La difesa è intenzionata ad impugnare la sentenza — ha dichiarato Brusaferro —. Pur attendendo di leggere le motivazioni del giudice, si ritengono inesistenti i presupposti stessi del reato per cui l’imputata è stata condannata. Si confida, quindi, di ottenere un esito favorevole in appello».