"Gli aiuti, solo briciole. Così sale la rabbia"

I ristoranti si convertono in mense, ma non basta. I titolari: "Fino a qualche mese fa funzionava, adesso non viene più nessuno"

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Sempre più in calo i numeri legati al settore della ristorazione, che contava di restare a galla lavorando attraverso il servizio di mensa. Alternativa che nei mesi scorsi aveva aiutato, ma che ora non basta più. Man mano che la crisi avanza, infatti, diminuisce il numero dei lavoratori e quindi di coloro che si spostano e pranzano fuori casa. "C’è stato un periodo in cui si riusciva a lavorare abbastanza bene – precisa Gianni Astolfi della Trattoria al Sole –, ora i numeri sono decisamente cambiati e notiamo che ci sono molti meno operai in giro. La nostra attività al momento lavora soprattutto con queste figure e qualche impiegato, ma alla fine ci paghi le bollette. Chi lavora in ufficio è spesso in smart-working". I titolari di ristoranti non sanno spiegarsi questo calo improvviso ed imputano la situazione ai cambi di colore della regione. "Forse la crisi, ma anche le restrizioni dovute alla zona arancione hanno portato a dei cambiamenti nelle scelte lavorative e di conseguenza anche chi ancora lavora si sposta meno", ritiene. Una tipologia di servizio che prevede numerose limitazioni, che permettono quindi a pochi di usufruirne. "Stiamo lavorando come mensa, con tutte le attenzioni del caso – spiega Michele Malengo della trattoria Ai Bagordi –. Ma i numeri non aiutano visto che sono esclusi i lavoratori autonomi, gli agenti di commercio e anche i titolari di attività. Il pranzo praticamente è concesso solo agli operai e a quelle aziende che hanno una convenzione. Diventa sempre più difficile stare a galla così". I danni della zona arancione stanno pesando, i titolari si dicono preoccupati per il futuro. "Il calo è stato notevole rispetto alla zona gialla – spiega –, con una perdita di almeno il 60%. Tra il 2019 e il 2020 abbiamo perso circa 250mila euro e abbiamo preso 8mila euro di aiuti, una cifra ridicola dato che rappresenta circa il 3% di quello che avremmo guadagnato. Sono elemosina, non vanno a coprire neanche una settimana di lavoro, dato che quell’importo lo facevamo dal giovedì alla domenica". Secondo i proprietari la rabbia della gente è destinata ad aumentare "Il malumore delle persone è sempre maggiore – dice – è normale che aumentino le proteste, come quelle viste nei giorni scorsi. Arriviamo a malapena a fine mese, abbiamo 15- 20 lavoratori fissi e a giugno cominciano i pagamenti dei mutui del decreto Cura Italia. Questi sono soldi concessi ad aprile dell’anno scorso, ma nel frattempo sono passate ulteriori chiusure e non sono state fatte misure per prorogare le scadenze". Non rimane quindi che sperare che si torni presto alla zona gialla. "Fino a prima della pandemia – sottolinea – queste attività sopravvivevano senza aiuti mentre ora le risorse stanno terminando e ora ci tocca vivere alla giornata – commenta amareggiato –. Dobbiamo tornare a lavorare ma senza ulteriori stop o non ce la faremo. Aprire anche solo mezza giornata significherebbe consentire a tutti i clienti di venire da noi, senza tutte queste limitazioni. Una bella differenza". Anche all’augurio di uscire presto dalla pandemia rimane però un grande punto interrogativo sulla futura ripresa. "Quello che ci preoccupa è quando finirà tutto questo – conclude –. I danni sono ingenti e siamo certi che l’emergenza sociale ed economica non terminerà certamente con la pandemia".

Agnese Casoni