"L’arte mi ha salvato, come una vocazione"

Il sorprendente percorso dello scultore Carmine Tisbo. Da Lendinara ha lasciato il lavoro da impiegato per dedicarsi alla sua passione

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di Eva Zandonà

Modellare sculture scavando non solo nella materia, ma anche in un dolore. Riscoprire, all’improvviso, il folgorante potere salvifico dell’arte. È il sorprendente percorso artistico dello scultore Carmine Tisbo. Residente a Lendinara, nel 1998 lascia coraggiosamente il lavoro sicuro da impiegato statale per dedicarsi alla sua passione per l’antiquariato. L’attività tuttavia non decolla, e Tisbo sprofonda in un momento particolarmente buio della sua vita. Ma è proprio allora che fa il suo incontro con l’arte.

Dopo un periodo difficile della sua vita, l’arte l’ha salvato. Si è trattata di una vocazione?

"Sì, mi sono avvicinato all’arte da autodidatta. Per via della mia attività di antiquario avevo già frequentato dei corsi di restauro e avevo avuto modo di studiare le diverse correnti artistiche contemporanee. Quando ho affrontato quel momento di crisi, a fine serata mi ritrovavo ad accantonare i residui dei mobili che restauravo e ad assemblarli con altri materiali di recupero che trovavo. Creavo composizioni, davo voce a un’ispirazione che sentivo ripiegandomi in me stesso. È stata una scoperta, perché non avevo mai dipinto o scolpito prima di allora. Ma notavo che farlo mi recava sollievo, era una valvola di sfogo. Fino a che un giorno la mia compagna ha inviato a mia insaputa le foto delle mie opere a un critico d’arte ferrarese, Gianni Cerioli, che le ha giudicate interessanti e meritevoli di un’esposizione. Così, appena tre mesi dopo il mio debutto nel mondo della scultura, ho avuto la mia prima mostra al Castello estense, nel 2007. E da lì è partito tutto".

Qual è la filosofia sottesa alle sue opere?

"Utilizzo come materiali privilegiati l’argilla, la terracotta e vari materiali di scarto, che talvolta mi è capitato di ricercare anche nelle discariche. Quegli oggetti scartati, ma che ritrovavano una nuova vita, trasformati in opere d’arte, erano la metafora di quanto stavo attraversando. Penso inoltre che al giorno d’oggi la società tenda alla marginalizzazione di tutto ciò che non è conforme ai canoni che impone. C’è una sorta di ‘cultura dello scarto’. Le mie opere mirano invece a sensibilizzare su quanto anche materiali di recupero possano generare bellezza".

Oltre a composizioni astratte e geometriche, esplora anche l’arte sacra.

"E’ l’asse portante della mia creazione. Con la mostra ‘il volto della sindone’ e il mio omonimo libro, ho indagato il prodigioso mistero che avvolge la Sindone. È stata poi una grande soddisfazione veder donata una mia opera proprio al museo della Sindone di Torino".

Il suo prossimo progetto è portare l’arte negli ospedali.

"Sto organizzando una campagna di crowdfunding per poter abbellire corridoi e ambulatori degli ospedali, che sono spesso luoghi asettici e ingrigiti. Già qualche anno fa ho partecipato a un’iniziativa del gallerista Renzo Melotti, che ha pensato di portare bellezza in questi luoghi di sofferenza. Le mie opere sono state esposte in case di riposo, al Policlinico di Rovigo, e all’ospedale Santa Maria della Misericordia. Credo nella forza del ‘Bello’. Nei contesti ospedalieri può distogliere i pazienti dai loro timori, alleggerire la loro permanenza e confortarli".