Lavoro Rovigo, fruttivendolo chiude dopo 57 anni. "Nessuno vuole più fare questo lavoro"

Abbassa la serranda il negozio di Lucio Rizzo. "Non c’è gente disposta ad impegnare tempo ed energie"

Giovanni Stefani, Lucio e Gianni Rizzo (foto Donzelli)

Giovanni Stefani, Lucio e Gianni Rizzo (foto Donzelli)

Rovigo, 15 luglio 2019 – Chiude dopo 57 anni di attività lo storico fruttivendolo Lucio Rizzo, presente in città al civico 1 di viale Alfieri dal 1962: nessuno è più disponibile a portare avanti il negozio. Già la settimana scorsa aveva abbassato per sempre la serranda il negozio Ortofrutta di via Pascoli, gestito da Giovanni detto “Gianni” Zanella e consorte dal 1972.

Come è nata la sua attività? «Mio padre ha cominciato come ambulante – racconta Lucio – nel 1948, 14 anni dopo è riuscito a realizzare il suo sogno di aprire un negozio. Nel ‘77 mia sorella ha preso il posto di nostro padre e sette anni sono subentrato io con mia moglie».

Perchè avete deciso di chiudere? «Dopo 35 anni di attività mia moglie e io siamo andati in pensione e, visto che nostro figlio ha altre vocazioni, stiamo cercando di vendere il negozio, che necessita di almeno tre/quattro lavoratori a tempo pieno. Il problema non è la crisi, la difficoltà sta nel reperire persone interessate a svolgere un lavoro del genere, che richiede parecchio tempo ed energie».

Cosa comporta al giorno d’oggi essere un fruttivendolo? «Bisogna lavorare dal lunedì al sabato sera perché ormai è cambiato il sistema del negozio: non è più una mera questione di compravendita, bisogna fornire un particolare servizio al cliente. Due/tre volte la settimana bisogna essere alle 3,30 al mercato di Padova ed essere pronti a lavorare fino a sera. E’ una professione per cui ammalarsi comporta un grave danno economico per sé e per la propria famiglia».

Quali sono le qualità di un buon fruttivendolo? «Bisogna essere persone di buona volontà che credono in quello che fanno: se non metti passione non arrivi da nessuna parte. Vorrei che qualcuno portasse avanti la nostra attività, anche solo per l‘orgoglio di mio padre. I soldi non fanno la felicità: servono, ma non sono tutto. Ci sono soddisfazioni più grandi del denaro, per esempio quando un cliente apprezza la freschezza e la qualità dei prodotti del nostro territorio».

Il rapporto con i clienti è cambiato nel corso degli anni? «Ormai non ci sono più i clienti di una volta: la gente entra, compra e scappa via. Non c’è il rapporto umano con la persona: gente indispettita, incattivita, sempre di fretta».

Dopo 35 anni in negozio come vive la sua situazione? «Mia moglie ed io abbiamo dato tutto quello che potevano, anche grazie al sostegno di nostro figlio che, essendo cuoco, prepara diversi piatti con i nostri prodotti. Ci vorrebbero tre/quattro persone con tanta voglia di lavorare: bisogna preparare e pulire la frutta e la verdura, inoltre ci sono particolari attenzioni da prestare per esempio al bancone che deve essere sempre per fornito e ordinato».