Recanati? Il borgo natio mi stava stretto

Leopardi si svela in televisione. La poesia raccontata in modo originale dai giovani cronisti della media San Domenico Savio

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Una riflessione sulla poesie e su Leopardi con i giovani cronisti della San Domenico Savio, scuola di Porto Viro. Una riflessione da piccolo schermo.

Buonasera cari telespettatori e telespettatrici e benvenuti in questo nuovo programma televisivo. Per inaugurare questa serata abbiamo deciso di ospitare qui con noi Giacomo Leopardi, uno dei più importanti poeti della letteratura italiana. Sta per arrivare…

Leopardi: Buonasera a tutte le donzellette, ai garzoncelli scherzosi e alle vecchierelle intente a filare.

Benvenuto signor Leopardi, la ringraziamo molto di aver accettato il nostro invito dato che conosciamo la sua proverbiale ritrosia.

Devo ammettere che non ho mai amato i salotti letterari, troppo vuoti e superficiali! Ma non ho mai avuto l’occasione di accederne ad uno televisivo.

Per inquadrare un po’ la situazione vorrei chiederle una cosa, tutt’altro che scontata, dato che si mormora abbia influito molto sulle sue opere. Perché non stava bene a Recanati?

Il mio “borgo natìo” non lasciava pieno spazio alla realizzazione delle mie ambizioni. I miei vicini di casa si comportavano in modo strano e tutto mi sembrava grigio e noioso.

Abbiamo saputo che non aveva un bel rapporto con i suoi familiari. Per quali motivi?

Chiaramente si tratta di fatti piuttosto privati, ma questa sera mi lascerò abbandonare a questo infinito silenzio che si cela in questa stanza. Dunque… mia madre Adelaide e mio padre Monaldo erano due persone molto oppressive e severe. Pensate che per uscire di casa dovevo scrivere loro una lettera, o meglio, un permesso. Per non parlare poi di quel giorno in cui presi il raffreddore e mia madre mi costrinse a rimanere a letto per tutto il giorno. Non potevo vedere nessuno. Non volevo vedere nessuno, anche se a volte si faceva vivo dentro di me il desiderio di essere come gli altri, ma non lo ero, non lo sarei mai stato.

Immagino quanto possa essere stata difficile la sua adolescenza e, a proposito, conosciamo tutti la sua canzone “A Silvia”, che ha saputo toccare gli animi di ciascuno di noi. Come è nata la sua ispirazione? Durante le mie pause dallo studio, osservavo fuori dalla finestra e, al di là della recinzione che cingeva la casa di fronte alla mia, vedevo Silvia, o meglio Teresa, la figlia del mio vecchio cocchiere. Cantava melodie incantate, in grado di ravvivare ogni animo, persino i colori della triste Recanati. Mentre tesseva, io ero solitamente occupato con i miei leggiadri studi, tutto il giorno, tutti i giorni. Purtroppo morì prematuramente per via di “un chiuso morbo” all’età di soli ventun anni. Vedevo in lei un’anima simile alla mia: entrambi non abbiamo potuto vivere a pieno la nostra giovinezza, e lei soprattutto, non ha avuto la possibilità di cullarsi nei complimenti degli ammiratori o parlare d’amore con le proprie amiche.

Giulia Baldin

Emma Cecchetto

classe III B