Stefano Barzan: «Il coro dell'Expo? Un inno alla vita, grande messaggio di fiducia e speranza»

Stefano Barzan, 51 anni adriese, ha rielaborato il brano per il coro dell’Expo

Il coro dei Piccoli Cantori di Milano, diretto da Laura Marcora all’Expo

Il coro dei Piccoli Cantori di Milano, diretto da Laura Marcora all’Expo

Rovigo, 4 maggio 2015 - «Accetto e rispetto chi esprime le proprie idee, ma chi ha il dono della semplicità ha compreso il mio intento».

Chi parla è Stefano Barzan, ,adriese, 51 anni, da trenta residente a Milano, arrangiatore e produttore musicale di fama nazionale, chiamato a coordinare le 4 composizioni coristiche, tra cui quella delle voci bianche, a Milano sul palco dell’ExpoIl musicista (figlio del compianto Piero Barzan, fondatore del coro Soldanella) ha realizzato l’elaborazione e l’armonizzazione dell’inno nazionale pensando in modo particolare al coro dei Piccoli Cantori di Milano, diretto da Laura Marcora. «Siam pronti alla morte» è diventa «Siam pronti alla vita». L’inno cantato con questa piccola ma notevole modifica al testo ha scandalizzato molti.

Da dove è nata l’idea?

«Un mese fa, con mia moglie eravamo ad un incontro di calcio di bambini che prima dell’inizio hanno cantato l’inno italiano. Ed ho pensato: ma che tristezza far dire a dei bambini che sono pronti alla morte, quando dovrebbero parlare solo di vita».

Poi arriva la proposta per l’Expo?

«Il progetto di un inno realizzato da un coro a cappella, capace di unire le voci bianche dei bambini e quelle dei cori di montagna, con il coinvolgimento dell’Arma dei Carabinieri, nasce da Alfredo Accatino, direttore creativo e artistico di Filmmaster Events. E’ stato quindi incaricato Guido Maggi, compositore delle musiche della cerimonia che ha fatto il mio nome, di qui il mio coinvolgimento».

A quel punto che succede?

«In pochi giorni viene così creato un coro per la cerimonia composto da 160 elementi: propongo però di realizzare dopo l’esecuzione dell’inno, eseguito nel pieno rispetto del protocollo, un brano liberamente ispirato al Canto degli Italiani, Alla vita! Inno per coro di bambini e coro a 4 voci pari, elaborazione originale mia e di mia moglie, Michela Casazza, che fa l’architetto di professione ma è diplomata al Conservatorio».

Una scelta quindi non casuale?

«Sì, perché pensavo che l’inno italiano avesse una musicalità forte e quindi potesse diventare anche più solenne, togliendo quel senso di marcetta militare».

Giusto cambiare anche le parole?

«Ma sì, non si può pretendere che un bambino si riconosca in un testo piuttosto retorico che parla di morte. Meglio dare un senso di speranza, di fiducia nel futuro. Una riflessione molto ingenua, ma qualcuno ci ha ricamato sopra con critiche strumentali che non avevano senso».

Del resto il testo originale lo aveva scritto nel 1847 un ragazzo genovese di vent’anni, Goffredo Mameli. Erano gli anni del Risorgimento, il periodo in cui sotto la guida di personaggi come Garibaldi, Mazzini, Cavour, l’Italia cominciava la lotta che la porterà alla sua definitiva unificazione. Un polverone, in sostanza, spropositato?

«Nessuno ha voluto mancare di rispetto né all’inno di Mameli, né a tutti i morti in guerra, né alla Costituzione. Del resto chi ha seguito bene la cerimonia avrà notato che fino all’alzabandiera l’inno è stato cantato secondo il testo tradizionale, poi c’è stato uno leggero stacco e i cori hanno ricominciato con le strofe finali fino alla conclusione dei bambini e il loro grido alla vita: questa si chiama elaborazione originale liberamente ispirata».