Ravenna, 29 marzo 2025 – Un anno e mezzo. Tanto serve per una colonscopia nell’Ausl Romagna, prenotando ora: si tratta, infatti, dell’esame con i tempi di attesa più lunghi. Con priorità si aspetta per un paio di mesi: più accettabile, ma sempre oltre quelli che sarebbero gli standard.

“Il dato è sovrapponibile a quello regionale – dice Alessandro Mussetto, primario di Gastroenterologia ed Endoscopia digestiva a Ravenna – . C’è stato un piccolo miglioramento perché l’anno scorso abbiamo lavorato molto di più per tentare di recuperare l’arretrato, effettuando circa il 20% di colonscopie in più rispetto al 2023. Questo, però, si è tramutato in un piccolissimo guadagno in termini di tempi di attesa. Il problema è un po’ l’eredità che ci portiamo sulle spalle da tanti anni e un po’, ancora, l’appropriatezza delle richieste che va governata e migliorata”.
Che per Mussetto si traduce nell’utilizzare un altro canale per accedere alla colonscopia, nel caso se ne rilevi la necessità: gli screening. “Marzo è il mese della prevenzione del tumore colon rettale – dice –. La campagna inizia al compimento dei 50 anni e recentemente è stata estesa da 70 a 74 anni. Ogni 2 anni si fa la ricerca del sangue occulto fecale e in caso di positività viene eseguita la colonscopia con un canale preferenziale: entro 30 giorni dalla positività allo screening”.
Che ancora pochi fanno per un tumore che è il secondo più frequente per gli uomini e il terzo per le donne. “Lo screening è un’arma di appropriatezza molto importante. Qui lo fa in media il 55%, siamo una delle realtà col tasso più alto, ma andrebbe migliorato – prosegue Mussetto –. Purtroppo c’è ancora una forma di stigma, o di pigrizia. Mentre agli screening femminile aderisce più del 70% delle aventi diritto, le stesse donne non si sottopongono allo screening per il colon retto. La percentuale è ancora più bassa per gli uomini. Quest’anno il programma di screening compie 20 anni, in cui ha ridotto i tumori del 33% negli uomini e del 21% nelle donne e la mortalità del 65% negli uomini e del 54% nelle donne”. Lo screening infatti non solo aiuta a individuare tumori allo stato precoce, quando è più facile curarli, ma identifica anche lesioni dette ’polipi’ che se non trattate portano a sviluppare la malattia.
Tornando alle liste d’attesa, Mussetto spiega che molte richieste di colonscopie sono legate a“dolore addominale o alterazioni delle abitudini personali. E spesso l’esame non porta a nulla perché il problema era semplice colon irritabile o un evento infettivo transitorio. È corretto fare una colonscopia quando c’è il sospetto di una patologia organica, come la colite infiammatoria cronica o un sospetto di patologia tumorale al di fuori dello screening. Ma il sospetto è reale dopo una visita gastroenterologica ed esami ematochimici. Invece c’è una percentuale enorme di controlli al di fuori del programma di screening, perché i pazienti sono in ansia”.