Giacobazzi direttore del Carlino: "Io, feticista del giornale, amo l'odore della carta"

Il comico mercoledì guiderà la redazione, l'iniziativa nell'ambito delle celebrazioni per i 130 anni del nostro giornale (lo speciale) di Claudio Cumani

Giuseppe Giacobazzi (foto Damiano Fiorentini)

Giuseppe Giacobazzi (foto Damiano Fiorentini)

Bologna, 3 maggio 2015 - Giacobazzi cos’è per lei il ‘Carlino’? «Una questione di famiglia. A casa l’ho sempre visto fin da bambino e ancora adesso lo compro ogni giorno. E’ una parte integrante della mia vita quotidiana, la sua lettura è un piacevole rito che ti fa capire che sei a casa». Giuseppe Giacobazzi, uno dei pochi comici italiani che riesce a fare l’esaurito nei teatri dalle Dolomiti alla Trinacria, è nato a Alfonsine in provincia di Ravenna ma vive a Bologna da quando aveva nove anni. Cioé da oltre 40 anni. Ha spopolato in tv, ha interpretato film di cassetta, ha scritto libri di successo ma da qui non se ne è mai andato. «Bologna – racconta - quando io ero ragazzo era davvero la città più bella del mondo». Sarà lui il direttore per un giorno che mercoledì il Resto del Carlino accoglierà in occasione dei festeggiamenti per i 130 anni (LO SPECIALE). E per l’occasione devolverà i cinquemila euro destinati dalla Banca di Bologna all’associazione Aut Aut di Reggio Emilia che sostiene ragazzi con problemi di autismo.

Giacobazzi, che approccio ha con il Carlino? «Ogni mattina do una prima scorsa ai titoli, poi consulto qualche pezzo di politica nazionale tanto per infliggermi alcune pugnalate e infine leggo la cronaca. Puntigliosamente riga per riga. Io sono di quelli che soffrono di feticismo per il giornale, che adorano l’odore della carta. Ho un sacco di ritagli conservati». Poco web, quindi? «Fatico a leggere le notizie lì. Certo, con lo smartphone basta un clic per entrare nel mondo e vedere come una notizia possa cambiare radicalmente». Quali devono essere, a suo avviso, le caratteristiche di un buon direttore? «Il rispetto per i lettori e per la deontologia professionale. Credo che quella del giornalista sia davvero una delle professioni più difficili al mondo. Servono verità, onestà, obbiettività». Quando ha visto il suo nome pubblicato per la prima volta sul Carlino? «E’ successo nel ’94 in una pubblicità. Noi ragazzi del ‘Costipanzo’ avevamo deciso di pagarcela di tasca nostra. Poi con il primo Zelig ho cominciato a comparire regolarmente». Progetti? «Beh, intanto mi devo concentrare per aumentare le tirature del Carlino, no? Scherzi a parte, lavoro al nuovo libro, che sarà una sorta di resoconto dell’ultima tournée teatrale dello spettacolo Un po’ di me». Che tipo di comicità è quella di Giuseppe Giacobazzi? «Sono un ‘raccontastorie’, vado sul palco e parlo dei miei errori e dei miei problemi. Si ride insieme dei nostri guai come in una sorta di psicanalisi collettiva a un prezzo equo. In fondo esorcizziamo le nostre paure». Lei in realtà si chiama Andrea Sasdelli e il suo nome d’arte è Giuseppe Giacobazzi. Ha inventato dunque un personaggio? «All’inizio sì, Giacobazzi era una macchietta. Poi alla fine ho scoperto che quel personaggio diceva cose serie e sul palco ci sono andato io mantenendo quel nome e quel cognome». Lei ha iniziato con un gruppo di amici, quelli del ‘Costipanzo show’, che non ha mai abbandonato... «Eravamo un gruppo di ragazzi in cui solo Duilio Pizzocchi, il mago Simon e Gianfranco Kelly erano professionisti. Sono loro che mi hanno portato su un palco. E adesso se c’è una serata da fare insieme non mi tiro certo indietro». E’ molto legato a Pizzocchi? «E’ stato il mio maestro e lo trovo una macchina comica straordinaria». Un’ultima curiosità: come giudica il boom di comici di questi anni? «Troppa gente viene addestrata a soli fini televisivi. C’è una sovrapposizione di comici spaventosa. Io mi sono dato una regola: il repertorio teatrale deve essere completamente diverso da quello televisivo. Serve qualità , non quantità».

di Claudio Cumani

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