ROBERTO ROMIN
il Carlino: 140 anni di storia

Arrigo Sacchi, il vate di Fusignano. Dai dilettanti al tetto d’Europa. Il visionario che cambiò il calcio

Tutto comincia grazie a un bibliotecario di paese. Dalla seconda categoria al Milan, dal pressing alla zona. La sua storia è quella di un rivoluzionario che ha trasformato il gioco in un’arte collettiva.

Tutto comincia grazie a un bibliotecario di paese. Dalla seconda categoria al Milan, dal pressing alla zona. La sua storia è quella di un rivoluzionario che ha trasformato il gioco in un’arte collettiva.

Tutto comincia grazie a un bibliotecario di paese. Dalla seconda categoria al Milan, dal pressing alla zona. La sua storia è quella di un rivoluzionario che ha trasformato il gioco in un’arte collettiva.

È inutile chiedersi come sarebbe stato il calcio senza Arrigo Sacchi. Di certo, sarebbe stato un altro calcio. Punto. Se il gioco più bello del mondo ha trovato una sintesi nuova, diversa, innovativa, forse anche geniale, il merito è di Alfredo Belletti. Uomo di cultura, Belletti era il bibliotecario di Fusignano. Ma anche il factotum dell’Ac Fusignano, che – parliamo del 1972 – lottava per non retrocedere dalla Seconda categoria. Belletti, che aveva allenato Sacchi fin dai Pulcini, lo convince a tornare a giocare. Sì, perché Sacchi aveva smesso col calcio per dedicarsi all’azienda di famiglia. Ebbene, con Arrigo in campo, il Fusignano si salvò. Nel campionato successivo, lo stesso Belletti – uno che, evidentemente, aveva del fiuto – propose a Sacchi di allenare. Risultato? Arrivò subito la promozione in Prima categoria. Arrigo Sacchi è stato un visionario. È stato l’allenatore capace di rivoluzionare il calcio. Con idee innovative, coraggio tattico e una visione rivoluzionaria del gioco, ha lasciato un’impronta indelebile nel panorama calcistico italiano e internazionale. Nato a Fusignano, il 1º aprile 1946, non ha avuto una carriera da calciatore degna di nota.

Difensore nei dilettanti, non ha mai giocato ad alti livelli, un aspetto che fu oggetto di scherno, ma anche di orgoglio personale. Celebre la sua risposta a chi gli rimproverava di non aver mai giocato in serie A: "Non sapevo che, per essere un buon fantino, bisognasse essere stato un cavallo". Mentre lavorava come rappresentante di calzature, iniziò ad allenare squadre giovanili e formazioni ‘minori’, tra cui il Fusignano, l’Alfonsine e il Bellaria in D. La svolta arrivò negli anni ’80, quando approdò alle giovanili del Cesena e poi, con risultati sorprendenti, alla guida del Parma. Nel 1985, Sacchi fu chiamato a guidare il Parma in C1. Con il suo calcio offensivo e organizzato, portò la squadra in serie B e, nella stagione 1986-87, attirò l’attenzione nazionale eliminando il Milan dalla Coppa Italia. Questo episodio fu decisivo.

Silvio Berlusconi, allora presidente del Milan, rimase talmente colpito dallo stile di gioco dei ducali che, travestendosi da Alfredo Belletti, decise di affidargli la panchina rossonera, nonostante l’assenza di un curriculum ‘convenzionale’. L’approdo al Milan nel 1987 rappresentò una svolta epocale. Sacchi portò idee radicali: pressing alto, zona, difesa a quattro, fuorigioco sistematico, gioco collettivo e offensivo. In un calcio italiano ancora dominato dal ‘catenaccio’ e dalla marcatura a uomo, la proposta di Sacchi fu dirompente, rivoluzionaria.

Il suo Milan è stato un modello per generazioni di allenatori, da Pep Guardiola a Jürgen Klopp. Ha anticipato molti concetti moderni: l’idea di squadra come organismo collettivo, il pressing organizzato, l’importanza della tattica come forma d’arte. Nel 1987-88 vinse subito lo scudetto, ma il suo capolavoro arrivò tra il 1988 e il 1990, quando il Milan conquistò due Coppe dei Campioni consecutive (1989 e 1990), due Supercoppe Europee e due Coppe Intercontinentali. Con giocatori come Franco Baresi, Paolo Maldini, Carlo Ancelotti, e il trio olandese Van Basten-Gullit-Rijkaard, ma anche i gregari Evani, Mussi e Colombo, Sacchi costruì una macchina perfetta. Quel Milan annientò il Real Madrid 5-0 in semifinale nel 1989, in una partita considerata tra le migliori prestazioni di sempre.

La grandezza di Sacchi non fu solo nei trofei, ma nel metodo. Ogni giocatore era parte di un sistema, dove l’estro e la fantasia venivano dopo il gioco corale. Le sedute tattiche, le ripetizioni dei movimenti collettivi, l’attenzione al dettaglio e all’intensità, trasformarono il Milan in una squadra che ‘giocava a memoria’. Sacchi sosteneva che "la bellezza del gioco è un dovere estetico e morale", e che "il calcio è prima di tutto un fatto di idee". Nel 1991 Sacchi fu nominato ct della Nazionale. Il suo lavoro culminò con la partecipazione ai Mondiali del 1994 negli Usa, dove l’Italia, guidata da Roberto Baggio, arrivò fino alla finale contro il Brasile. Dopo una partita tesa, i rigori furono fatali agli azzurri.

Dopo il Mondiale, restò in Nazionale fino al 1996, poi ebbe esperienze meno fortunate: un breve ritorno al Milan (1996-97), una parentesi all’Atlético Madrid (1998-99) e un incarico dirigenziale al Parma. I tempi però erano cambiati, e Sacchi sembrava ormai lontano dalla ribalta tecnica. Negli anni successivi si è dedicato all’attività di opinionista e consulente tecnico.