
Marco Pantani
Meno di centomila abitanti in flessione e il recente titolo di co-capoluogo di provincia. È il fermo immagine più recente per Cesena. Uno scatto parziale, certo. Ma significativo in due direzioni. La prima: la curva demografica che non si discosta certo dalle tendenze nazionali, ma che con la spigolosità dei suoi numeri getta un interrogativo sul futuro del territorio dove già si avverte prepotente lo spopolamento di periferie e borghi montani, la pressione montante sui servizi sociali e sanitari, la carenza di manodopera nel pur ricco tessuto produttivo locale. Che ha nell’agroalimentare una delle locomotive però ad alto fabbisogno di lavoratori, locali e stranieri.
Lo speciale sui 140 anni del Carlino
Cesena continua a restare timidamente attrattiva per immigrati esteri e nostrani. Ma il grosso limite è rappresentato dalla carenza di alloggi in affitto e a prezzi abbordabili. Un vulnus che affligge anche la popolazione universitaria, pure in crescita in un polo dell’ateneo bolognese che gode di grande considerazione anche per la capacità di generare start up ed esperienze innovative.
Il secondo punto di vista: l’acquisizione della qualifica di co-capoluogo. Nulla di rivoluzionario. La provincia già porta il nome di ‘Forlì-Cesena’, retaggio dello scorporo del territorio riminese negli anni Novanta. Un atto amministrativo che sancì plasticamente l’arretramento di status di Forlì, finora capoluogo unico di un territorio sterminato dall’Appennino al mare che rimandava ancora alle glorie littorie.
Il predappiese Benito Mussolini, in pieno delirio romanico, volle stirare i confini della sua provincia natale fino a incorporare un pezzo di Toscana (la cosiddetta ‘Romagna Toscana’ che arrivava fino a Castrocaro) e prolungare la sua ombra fino alle sorgenti del Tevere sul Monte Fumaiolo. La deindustrializzazione degli anni Settanta ha ridotto il ruolo trainante di Forlì, in parallelo all’esplosione dell’economia agroindustriale cesenate, celebrata simbolicamente con le glorie calcistiche di una squadra provinciale spesso in Serie A.
Ora anche Cesena è, dunque, capoluogo. Al di là di qualche baruffa municipale sulle sedi istituzionali, non è una rivoluzione. Ma può sancire il superamento di quell’etichetta di ‘provinciale’ che è pur sempre una palla al piede sulle ambizioni di qualsiasi città. La gara per l’ambito titolo di ‘capitale italiana della cultura’, se partirà il progetto comune con Forlì dopo un debutto in contemporanea all’insegna del pasticcio e del battibecco, potrebbe essere un ulteriore viatico per lo sviluppo. L’alluvione del 2023, infine, ha inferto un duro colpo al territorio. I cesenati, dentro e fuori la città si sono, al solito, tirati su le maniche e sono ripartiti da soli. Oltre alla ricostruzione, tra mille ritardi e impicci burocratici, resta in buona parte da risolvere il nodo della sicurezza di un territorio che si è scoperto fragile e per larga parte indifeso.