
La torre civica distrutta e Piazza del Popolo oggi
Centocinquantasette bombardamenti fra il 2 maggio e il 17 dicembre del ‘44, l’80 per cento delle case inabitabili, 726 edifici completamente rasi al suolo, 558 danneggiati irrimediabilmente, distrutti il 70 per cento delle chiese, i campanili, la torre cittadina; i ponti sul Lamone e la stazione ferroviaria ridotti in macerie, 956 civili rimasti uccisi: ecco, in numeri, l’enorme tributo pagato da Faenza (e ancor maggiore fu quello di Castel Bolognese) per la liberazione del Paese dall’oppressore nazifascista.
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Ed è da qui, dal dicembre del 1944, che si deve partire per comprendere come la città sia evoluta, come e quando siano state gettate le basi per la Faenza del terzo millennio, un succedersi di tappe, di eventi che il Resto del Carlino (nei primi anni del dopoguerra e fino al ‘53 la testata era Il Giornale dell’Emilia) ha puntualmente registrato attraverso i suoi corrispondenti da Domenico Giacometti a Emma Placci, da chi scrive ad Alfonso Toschi, Giuseppe Conti, Maurizio Marabini, Antonio Veca.
Non fu facile l’avvio della ricostruzione in una città diventata un mucchio di rovine, privata degli opifici distrutti. Ma già la giunta provvisoria, nominata dal Comando alleato il 24 dicembre 1944 e che vedeva come sindaco indicato Alfredo Morini (le cui funzioni però per diverso tempo furono esercitate da Pietro Ferrucci, vicesindaco, perché Morini era bloccato a Castel Bolognese per tutto l’inverno rimasto in mano ai tedeschi), avviò immediatamente i primi necessari interventi, stimolata da assessori come il futuro vescovo di Ravenna Salvatore Baldassarri dopo che negli anni della guerra un altro religioso, il vescovo di Faenza Giuseppe Battaglia, aveva avuto un ruolo fondamentale nella guida della comunità tanto da essere insignito della medaglia d’argento al valor militare.
Il primo forte segnale della ripresa fu di carattere politico: il 2 giugno del ’46 al referendum istituzionale furono favorevoli alla Repubblica ben 24.029 faentini contro i 4.540 che votarono per la monarchia, quando invece a livello nazionale il distacco fra le due schede fu di soli due milioni di voti. Sull’onda, da una parte, della proclamazione della Repubblica e dei risultati delle prime elezioni libere dopo 25 anni (le amministrative si tennero nel ‘46 e portarono all’elezione di Morini a sindaco) e dall’altra dell’avvio del piano di aiuti americano (il piano Marshall), prese quota a Faenza un ottimismo diffuso (pur a fronte di una disoccupazione di oltre ventimila persone su un totale di 47.589 abitanti) che portò nel giro di pochi anni all’avvio di nuove imprese industriali (la Cooperativa ceramisti, Succovit, Cisa, Sariaf) e alla ripresa del lavoro in altre (Omsa, Tampieri, Neri).
Cominciavano a prendere piede i lavori pubblici e la ricostruzione della città: già nell’aprile del ‘48 fu inaugurata la rinnovata stazione ferroviaria mentre nel giugno del ‘49 all’apertura del Concorso nazionale, riavviato nel ’46 in occasione della festa per San Pietro, intervenne Giulio Andreotti, all’epoca già sottosegretario alla Presidenza del Consiglio; in quegli anni poi il nome di Faenza già era spesso sui giornali grazie a campioni di ciclismo come Vito Ortelli, Aldo Ronconi, Giuseppe (Pipaza) Minardi.
Un ulteriore segno della consolidata ripresa post bellica arrivò a fine ‘51 (sindaco Pietro Baldi) con l’inaugurazione del ponte sul Lamone nel Borgo (quello stesso ponte che ora deve essere ricostruito per via dei danni causati dalle piene), mentre nel dicembre ‘54 la piazza di Faenza poté nuovamente beneficiare della ricostruita Torre civica che i tedeschi avevano abbattuto. E mentre in estate il teatro leggero, la rivista e l’opera lirica tenevano banco all’Arena Borghesi (giusto tre anni fa completamente rinnovata), al teatro comunale si svolgevano gli incontri di lotta, storica tradizione sportiva di Faenza che in quegli anni annoverava ancora un campione come Ercole Gallegati che fu poi consigliere comunale, mentre sul fronte sociale gli sfollati della guerra potevano entrare nelle nuove case e così scomparivano le baracche da Piazza d’Armi.
In quegli anni era già consolidato il ruolo dominante della Dc, grazie anche al lavoro politico svolto nel tempo da Antonio Zucchini e fu proprio in quel periodo che Faenza divenne nota come ‘mosca bianca’ della Romagna, eccezionale isola dominata dalla Democrazia Cristiana in una terra a maggioranza quasi assoluta a sinistra.
Un’isola bianca che, sia pure in coalizione, si protrasse fino a metà anni Settanta e che proprio nel 1956, alle nuove elezioni amministrative, vide come sindaco una giovane figura di politico dc, già aderente alla Resistenza, Elio Assirelli che a palazzo ManfredI rimase fino al 1972 quando fu eletto al Senato.
Un sindaco che impresse una svolta fondamentale allo sviluppo della città che peraltro nel luglio del 1966 beneficiò dell’apertura dell’Autostrada del Mare: ricordiamo alcune tappe, la prima zona industriale, il Palazzo delle Esposizioni, il parco di piazza d’Armi per il quale tanto si era battuto l’industriale Roberto Bucci, il primo depuratore (poi completato nel 1981, fra i più grandi d’Italia), la costruzione delle piscine comunali, la circonvallazione a monte inaugurata nel luglio del 1968, proprio nell’estate in cui Faenza ricevette dal Consiglio d’Europa a Strasburgo il prestigioso riconoscimento del ‘Premio Europa’ per le tante iniziative, soprattutto culturali, a favore della diffusione degli ideali della nascente Unione Europea (grazie a quelle iniziative fin dal 1965 Assirelli era riuscito a far entrare Faenza nell’associazione italiana del Consiglio dei Comuni d’Europa).
Due le solenni cerimonie per la consegna del Premio: il 23 giugno a Faenza, il 31 ottobre a Strasburgo. E stando su temi diversi, come non ricordare il Palio del Niballo e la Nott de Bisò! Parallelamente all’attività amministrativa in quegli anni riprendeva energia il fronte della cooperazione con due personaggi di alto livello, Giuseppe Albonetti e Giovanni Dalle Fabbriche, mentre il vulcanico segretario comunale Alteo Dolcini dava l’avvio a una lunga serie di imprese, dall’Ente Tutela Vini, alla Società del Passatore, alla Cento km, alla legge per la tutela della ceramica tradizionale, per citarne solo alcune... E mentre si apriva il decennio degli anni Settanta, Faenza dovette affrontare la lunga crisi imprenditoriale, con gravi ripercussioni sociali, dell’Omsa, peraltro protrattasi a fasi alterne fino agli anni Novanta, per giungere alla dissoluzione dell’azienda all’inizio dell’attuale secolo.
Nel 1975 finì il predominio democristiano (ad Assirelli erano succeduti i dc Angelo Gallegati e Pietro Baccarini, quest’ultimo autore del grande decentramento amministrativo con l’organizzazione di nove quartieri) e divenne sindaco il comunista Veniero Lombardi con l’appoggio del Psi.
Fu allora che venne approvato il piano urbanistico per il nuovo quartiere dei Cappuccini (poi realizzato negli anni 80) e prese avvio l’espansione della città lungo via Fornarina, fu avviata l’area sportiva della Graziola, iniziò un percorso virtuoso per il Museo delle Ceramiche protrattosi fino agli anni 90 e per palazzo Milzetti (Museo del Neoclassicìsmo). A fine anni 70 con Giancarlo Minardi (tuttora sulla breccia) nacque la scuderia di Formula 1 che oggi si chiama Visa RB, è seconda in Italia dopo la Ferrari e dà lavoro a diverse centinaia di persone. Con gli anni 80 il testimone passò al socialista Giorgio Boscherini, quindi fugacemente a Nerio Tura: poi la crisi e il commissario.
Gli anni 90 videro Faenza quale laboratorio per l’Ulivo e si formò la giunta retta da Enrico De Giovanni cui seguì quella di Claudio Casadio. Due mandati in cui la città prese slancio verso la modernità sul fronte urbanistico ed economico: gli anni dello sviluppo industriale e commerciale lungo la Naviglio fino all’autostrada, del secondo palasport, dell’arredo urbano nel centro storico, gli anni del disarmo delle aziende insalubri, della nascita dei grandi centri commerciali della Filanda e delle Maioliche, gli anni del riassetto stradale con le rotonde negli snodi pericolosi. Un lavoro portato avanti nei due mandati di Giovanni Malpezzi e che l’attuale giunta di Massimo Isola avrebbe dovuto e potuto sviluppare se non ci fosse stato il dramma delle inondazioni.
Ora la scommessa sul futuro è questa: il faentino numero 50mila è nato nel 1958; oggi, 67 anni dopo, gli abitanti sono 58.800. Si riuscirà a far crescere un po’ di più la città?